Con questo agile volume, Perduti nel bosco (Castelvecchi, 2023), Piero Bevilacqua riprende e amplia – nell’ottica, sempre produttiva, della variazione di genere – un ragionamento già esposto in varie sedi (riviste accademiche, articoli di giornali, saggi ecc.) e centrato intorno alla simbologia di una realtà naturale che, blandendo il nostro immaginario, comporta necessariamente un’interrogazione sul suo “ruolo”.
Lo spunto narrativo
Stavolta, lo spunto narrativo è dei più collaudati: due escursionisti, nel corso di una passeggiata sulle Alpi, scivolano lungo un pendio separandosi dal proprio gruppo. Costretti a sostare a valle, in uno spazio di sospensione tra la città e l’inesplorato, dovranno fare i conti con il sublime, con sentimenti di angoscia e spaesamento, con l’ineffabile sensazione di essere parte di un tutto, di ciò che li circonda e li contiene.
Facile intuire la fine, il senso di una deviazione dal tracciato che equivale a perdersi per ritrovarsi, a un cambio di percezione che è anzitutto rinnovamento dello sguardo, depurazione ottica e sensoriale dai dettami della società, dalla corsa al consumismo, all’auto-affermazione.
E ancora, alla perdita del contatto con la terra: i protagonisti, non a caso, sono un avvocato e un agricoltore.
Discesa iniziatica
Il ricorso a schemi rodati, di immediata comprensione, consente tuttavia all’autore di immergersi con competenza nella materia, andando a lavorare sulle griglie interpretative del pubblico e su un orizzonte immaginale codificato, sì che ogni discorso, ogni riflessione innescata dalla trama, consente di elaborare il già noto e sondarne i limiti, le eventuali omissioni percettive. Così, la discesa a valle dei due escursionisti assume il valore di una catabasi, un percorso di iniziazione che implica un cambio di prospettiva, rovescia il senso della vita e della morte, abbatte le dicotomie per proporre un’ardita eppur necessaria coabitazione degli spazi, un nuovo ordine di priorità tra natura e società civile.
Fra mistero e bellezza
Immagine del mistero e della bellezza, connotato da un’idea di buio sovente associata a un blackout mentale o percettivo, il bosco diviene così un dispositivo di condensazione dei significati, una metafora estesa che focalizza traumi o situazioni di cortocircuito storico, visivo, coscienziale. E la natura torna ad assumere vesti ataviche, prossime ai miti e alla loro eterna significazione, alla capacità di parlare attraverso i secoli e di costruire – mediante la storia di due esistenze – un nuovo spazio di convivenza e rispetto.
Responsabilità archetipica
In questo modo Piero Bevilacqua – docente di Storia contemporanea all’Università Sapienza di Roma – dà vita a una narrazione capace di far convergere i fuochi del suo percorso intellettuale: dall’ecologia al diritto, dalla letteratura alla filosofia. Tutto si tiene in una storia che ha il sapore degli antichi racconti, di quelle costruzioni archetipiche che non smettono di parlare.
Al fine di porre l’uomo davanti alle sue responsabilità, al senso del suo passaggio sulla Terra.