Cominciamo con una notizia incoraggiante: in Italia foreste e alberi sono in aumento. Secondo l’Inventario nazionale delle foreste e dei serbatoi di carbonio, che il Corpo forestale dei Carabinieri pubblica insieme al Crea, nel nostro paese le foreste superano gli 11 milioni di ettari. E la crescita continua. Il recentissimo Atlante delle Foreste, stilato da Legambiente in collaborazione con AzzeroCO2 e Compagnia delle Foreste, riporta che nel 2022 in Italia sono stati piantati quasi 2,9 milioni di alberi.
Oltre la quantità
Il problema però è che la quantità non basta. Lo spiega con chiarezza Antonio Brunori, dottore forestale e segretario generale del Programma di valutazione degli schemi di certificazione forestale (Pefc):
«Negli ultimi cento anni, in Italia, la copertura forestale è triplicata ma la crescita non è dovuta solo ai programmi di rimboschimento. In gran parte è legata all’abbandono colturale».
Non solo. La crescita di foreste nel nostro paese nasconde delle perdite di patrimonio verde altrove. E allora, mentre celebriamo gli alberi, con la giornata nazionale del 21 novembre, come stanno le foreste lungo lo Stivale e nel mondo?
Boschi da gestire
Cominciamo col dire che le foreste in Italia crescono ma in modo incontrollato. Dopo la Prima guerra mondiale, quando nelle aree rurali e in montagna si tagliava molta foresta per ottenere legna da ardere e spazio per coltivare, avevamo appena 4 milioni di ettari di territorio coperto da foreste. Oggi sfioriamo i 12 milioni di ettari di boschi, circa il 40% del territorio nazionale.
Un dato positivo, che colloca l’Italia al secondo posto nella classifica europea dei paesi con la maggiore estensione dei boschi. A guidare questa crescita però sono state solo in parte le politiche di riforestazione del secondo dopoguerra. Molto è dovuto al progressivo arretramento delle aree agricole e delle terre da pascolo. «Lo spostamento verso le pianure e le città della popolazione ha fatto venir meno la gestione attiva delle aree boschive», spiega Brunori.
Il risultato è che oggi abbiamo molti boschi che sono poco gestiti.
Crescita incontrollata
«Solo per il 18% dei boschi italiani si prevede una gestione forestale pianificata. Questo vuol dire che le foreste sono più suscettibili ai disturbi», riprende l’esperto. La crescita incontrollata dei boschi favorisce, per esempio, la diffusione degli incendi, con molta più vegetazione pronta a diventare combustibile per i roghi. Un recente studio condotto da ricercatori di diverse università italiane e centri di ricerca nazionali, ha dimostrato come la gestione attiva del territorio, per esempio con attività agropastorali, riduca di oltre il 50% l’impatto degli incendi boschivi rispetto ad aree non gestite.
Ecotoni cercasi
C’è poi un problema legato alla biodiversità. «Senza una gestione pianificata e responsabile si sta facendo largo un solo tipo di bosco, cancellando quei micro-ecosistemi di interfaccia, chiamati ecotoni, importanti per la biodiversità specifica e per quella del paesaggio», riprende Brunori. L’abbandono colturale delle foreste porterebbe così alla perdita di alcune specie, che spariscono con l’arrivo delle piante pioniere a crescita rapida e delle specie invasive, parallelamente all’impoverimento paesaggistico. «Per quanto abbondanti, i nostri sono boschi giovani e diventeranno stabili solo fra duecento anni», aggiunge. Per garantirgli una crescita equilibrata dobbiamo quindi aumentare gli sforzi di gestione, favorendo la loro resilienza in caso di incendi e la resistenza alla degradazione.
Fame di foreste
Il nodo più problematico sta nel fatto che mentre in Italia le foreste crescono, altrove la deforestazione continua. Secondo il recente rapporto della Forest Declaration Assessment, solo nel 2022 sono andati persi circa 6,6 milioni di ettari di foreste al livello globale. Il 4% in più rispetto all’anno precedente e il 21% in più di quanto ci potremmo permettere per centrare l’obiettivo di arrestare la deforestazione entro il 2023, fissato durante la Cop26 di Glasgow. Le perdite, con circa quattro miliardi di ettari di foreste in tutto il mondo, incidono soprattutto su America Latina e Africa, come spiega Lucio Brotto, co-fondatore di Etifor, spin-off dell’Università di Padova per gli investimenti forestali e i servizi ecosistemici:
«È un problema che riguarda in particolare le foreste tropicali, che rappresentano circa la metà delle foreste del pianeta».
Cibo a filiera lunga
All’origine di questo fenomeno c’è il sistema di produzione alimentare globale. «Nei paesi tropicali le foreste spariscono soprattutto per produrre cibo destinato altrove», riprende Brotto. È il fenomeno della “deforestazione incorporata”, con il quale i paesi dove le foreste sono in aumento importano beni la cui produzione è legata alla deforestazione in altre aree del pianeta.
Secondo un rapporto del Wwf, l’Europa è il secondo maggiore “importatore” al mondo di deforestazione, dopo la Cina, causando la perdita di oltre 200mila ettari di foreste ogni anno attraverso il consumo di materie prime. L’Italia anche in questo caso conquista il secondo, infelice, posto in classifica, mangiando ogni anno circa 36.000 ettari di foreste in altre aree del mondo. «Stiamo spostando il problema» dice l’esperto di investimenti forestali.
Risposta europea
Qualcosa però si muove, nella direzione giusta. Per mettere un freno alla deforestazione “importata”, l’Unione Europea ha appena adottato un regolamento che impone alle imprese di verificare che prodotti importati come carne, soia, legno, olio di palma, cacao, caffè e gomma non provengano da terreni deforestati.
«È la prima legge di questo tipo e potrebbe salvare circa 250.000 ettari di foresta entro il 2030», conclude Brotto.