«Il clima, una sfida che unisce. E che può far volare l’Italia». Alla Cop28 di Dubai con Grammenos Mastrojeni
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«Il clima, una sfida che unisce. E che può far volare l’Italia». Alla Cop28 di Dubai con Grammenos Mastrojeni

Si tiene nella metropoli emiratina, fino al 12 dicembre, la “Conferenza delle parti” sul riscaldamento globale che l’Onu convoca ogni anno, dal 1995. Entriamo insieme al diplomatico e saggista italiano in questo importante evento. Anche per capire quale ruolo può svolgere il nostro paese

Marco Fratoddi 4 Dicembre 2023

«Quella per il clima è una sfida comune, alla quale ogni paese può contribuire. Se diventa una corsa a chi produce più pannelli solari siamo punto e a capo. Invece deve essere chiaro che si tratta di una transizione necessaria, da raggiungere attraverso una cooperazione pacifica e coordinata». Mentre risponde alle nostre domande Grammenos Mastrojeni sta chiudendo le valige. Nel giro di poche ore, infatti, s’imbarcherà anche lui per Dubai, la metropoli degli Emirati Arabi Uniti che ospita fino al 12 dicembre la Cop28, vale a dire il vertice annuale dell’Onu sul riscaldamento globale.

 

L'apertura della Cop28 a Dubai

Foto: UNclimatechange

La sua è una figura poliedrica: in qualità di diplomatico ha rappresentato l’Italia in molteplici negoziati sul clima, la biodiversità e la protezione degli oceani. Attualmente è il Primo segretario generale aggiunto dell’Unione per il Mediterraneo con sede a Barcellona, insegna in diverse università internazionali sui temi che ha messo al centro della sua ricerca, vale a dire la protezione dell’ambiente e la cooperazione per la sostenibilità.  E nel suo libro più recente, Vola Italia. Ridare le ali a un paese insostenibile (Città Nuova editore), traccia un progetto che interpreta la crisi climatica come un’opportunità per mettere a frutto l’ingegno del Belpaese, valorizzarne le risorse più autentiche e restituire speranza alle nuove generazioni.

 

 

La prima “Conferenza delle parti” sul clima fu convocata nel ‘95 a Berlino, sull’onda dell’Earth Summit celebrato tre anni prima a Rio de Janeiro, con un impatto politico e mediatico senza precedenti. Ma oggi è ancora questo il luogo in cui si prendono le decisioni?

Le conferenze come la Cop hanno la loro importanza, puntano infatti a portare il coordinamento politico e scientifico sulla tutela del clima a livello globale. Ma i grandi cambiamenti avvengono nel mondo reale, che è composto da imprese e consumatori. Mi spiego: se durante questa Cop si prendesse la miglior decisione del mondo ma l’economia non l’accettasse e i cittadini si rifiutassero di modificare il proprio stile di vita, non servirebbe a nulla.

Certo, l’auspicio è che delle decisioni concrete arrivino, per evitare il rischio di un dibattito autoreferenziale.

Un momento della Cop28 sul clima a Dubai

Foto: UNclimatechange

Quali dovrebbero essere i punti “sine qua non” che potrebbero farci pensare che questo vertice è stato utile?

Intanto constatiamo che l’obiettivo stabilito nel 2015 con l’Accordo di Parigi, quello cioè di costituire un fondo da 100 miliardi di dollari l’anno a favore dei paesi più poveri che subiscono gli effetti del riscaldamento globale, il cosiddetto “Loss and damage”, si sta con ogni probabilità raggiungendo. Il resto sta nelle maglie di un negoziato come sempre molto complesso, nel quale s’intrecciano questioni tecniche e politiche e che si svolge per di più in un contesto particolare, come quello di un paese fra i maggiori esportatori di petrolio.

Questo non rischia di mettere nell’angolo il tema più importante, vale a dire quello del “phase out”, l’uscita globale dall’economia delle fonti fossili? Com’è noto il presidente della Cop 28, il sultano Ahmed al-Jaber, è anche alla guida della Abu Dhabi National Oil Company…

È un tema che si può valutare in due maniere diverse. Da un lato si potrebbe dire che questo vertice è inquinato perché chi lo presiede è anche a capo di una fra le maggiori compagnie petrolifere globali. Dall’altra invece che questo settore, proprio perché ospita la conferenza, sta cercando di diversificarsi e d’immettersi nella transizione verso modelli energetici a basse emissioni di carbonio. E allora, come ci conviene ragionare? Ci conviene dire al mondo dei fossili che sono una realtà brutta, sporca e cattiva intenzionata a manipolare il dibattito oppure che il loro modello non ci piace ma che apprezziamo il fatto che si stiano indirizzando, magari per ragioni non solo ambientali, verso un paradigma diverso? E che forse possiamo darci una mano a vicenda?

 

Il sultano Al Jaber

Foto: Wikimedia

È l’interrogativo forse più importante di questo incontro, anche se non sta formalmente nell’agenda dei lavori.

Un’altra peculiarità di questo summit sta nel fatto che si tiene in un periodo segnato da nuovi conflitti armati, uno dei quali tocca proprio la penisola arabica e le radici identitarie dei popoli che vi abitano.

La guerra in Ucraina chiama direttamente in causa la questione energetica, nella sua tragicità ci ha fatto se non altro comprendere che evolverci verso le rinnovabili non vuole dire soltanto emettere meno carbonio ma garantire ai popoli sovranità e indipendenza nella produzione di energia, come avviene in altri settori, per esempio in agricoltura con il cibo a filiera corta.

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Il conflitto israelo-palestinese invece deriva da ragioni diverse, anche se il controllo della risorsa idrica svolge un ruolo importante e conferma il legame fra componente ambientale e conflitti contemporanei, come peraltro abbiamo spiegato insieme al climatologo Antonello Pasini nel nostro volume di qualche anno fa, “Effetto serra, effetto guerra”.

Resta il fatto che è più complicato mettere allo stesso tavolo delle potenze globali in guerra.

Sì ma guardiamo a quanto è accaduto poche settimane fa tra Cina e Stati Uniti, si attaccano su tutto e si trovano su campi opposti anche sul fronte ucraino. Però hanno trovato un accordo di cooperazione proprio sul clima, con la Dichiarazione di Sunnylands per la decarbonizzazione che ha dato un tono diverso anche alla Cop28, nonostante a Dubai siano assenti proprio Joe Biden e Xi Jin. Forse la convergenza d’interessi sul clima può aiutare a ritrovare le ragioni di un dialogo  anche su altri temi.

 

Xi Jin e Joe Biden, Cop28

Foto: Politico.it

In questo scenario l’Italia sembra un piccolo paese, dentro un’Europa che fatica a giocare un ruolo da protagonista nello scacchiere internazionale. Quell’Italia alla quale lei ha dedicato il suo libro più recente…

L’Italia è tutt’altro che impotente al cospetto delle trasformazioni che stanno avvenendo. In un’economia classica noi siamo un paese povero di risorse, se pensiamo al petrolio, al carbone, al litio o al molibdeno… Ma nella prospettiva del modello sostenibile siamo il più avvantaggiato, basti considerare la bellezza dei nostri territori e il patrimonio di conoscenze che conservano in ogni settore, dalla manifattura all’agroalimentare, anche in virtù della nostra capacità di resistere alla standardizzazione del dopoguerra.

Oggi questo patrimonio naturale e culturale diventa preziosissimo ma ci manca la visione per valorizzarlo.

Da dove dovremmo cominciare per maturarla?

Innanzitutto dall’essere consapevoli del vero patrimonio di cui disponiamo. Pensiamo a Copenaghen che tutti considerano come una fra le città avanzate al mondo dal punto di vista ambientale e che capitalizza miliardi su questa narrazione. Ma nonostante sia una graziosa città, sorge sostanzialmente sopra una palude spazzata dal vento con un entroterra che esprime pochi prodotti elaborati in maniera uniforme. Se questa narrazione la mettessero in campo luoghi come Siena, Cremona o Palermo possiamo immaginare quali potenzialità si aprirebbero.

 

Siena

Foto: Canva

Quindi si tratta soltanto di migliorare la nostra capacità di rappresentarci?

No, c’è dell’altro. Sempre per restare Copenaghen nella metropolitana non ci sono i tornelli perché si dà per scontato che ognuno, per il vantaggio collettivo che ne consegue, paga il biglietto. Dobbiamo crescere tutti, non soltanto chi ci rappresenta, nel comprendere il valore d’insieme delle nostre azioni e cogliere le opportunità che abbiamo difronte, specialmente ora che ci sarebbero anche i fondi per riuscirci, tramite un’applicazione più organica del Pnrr. E fare nostra la lezione che Giorgio Parisi, il Nobel per la fisica, ha appreso durante i suoi studi di system dynamics sul volo degli storni.

Ovvero?

Comportarci in maniera sostenibile a tutti i livelli, nella vita quotidiana e nella gestione del Paese.

Per alzarci in volo verso la transizione.

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