Il futuro nel piatto. Paolo Corvo racconta il cibo che verrà Il sociologo Paolo Corvo
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Il futuro nel piatto. Paolo Corvo racconta il cibo che verrà

Quale spazio avranno la carne artificiale, le farine di insetti e i superfood nella nostra dieta? E l’attenzione verso la qualità che abbiamo maturato durante la pandemia ha cambiato davvero le nostre abitudini alimentari? Ne parliamo con Paolo Corvo, sociologo e docente all’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo

Silvana Santo 16 Aprile 2023

Carne sintetica, farine di insetti, integratori e superfood: come sarà il cibo del futuro? E che impatto avrà in termini di sostenibilità ambientale e salute collettiva? Paolo Corvo, sociologo esperto di cibo, consumi e nuove tendenze, professore presso l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (Cn) e autore del volume Il cibo nel futuro (Carocci, 2021), traccia il quadro dei possibili scenari che ci attendono.

 

Come sta cambiando l’alimentazione in Italia e non solo?

La pandemia ha determinato due fenomeni diversi: da un lato il ritorno all’abitudine di cucinare in casa, prestando una maggiore attenzione alla qualità degli ingredienti e delle materie prime, dall’altro il ricorso maggiore al delivery e alla spesa online. In generale, comunque, negli ultimi anni è aumentata la percentuale di consumatori che fanno attenzione a qualità e sostenibilità degli ingredienti. Anche se la forte inflazione dei mesi più recenti potrebbe cambiare di nuovo le carte in tavola, visto che nel corso del 2022 è stato registrato un incremento del 10% dell’Iva sui prodotti alimentari.

 

Quali sono state le conseguenze più immediate dei rincari?

C’è stata una crescita dei discount a discapito dei centri commerciali. Ma ci sono anche molte persone che preferiscono comprare meno cibo rispetto al passato, senza però rinunciare alla qualità. Persone che, per esempio, si rivolgono ai discount solo per prodotti non alimentari o per quelli ritenuti secondari, mentre continuano ad acquistare nei negozi specializzati quei generi alimentari percepiti come di primaria importanza. Questo tipo di negozi al dettaglio, in effetti, laddove è ancora presente mostra una buona tenuta sul mercato.

 

I consumatori italiani, in generale, stanno diventando più attenti e consapevoli?

Sicuramente negli ultimi anni si registra una crescente consapevolezza da parte dei consumatori, non solo per quanto riguarda la tutela della propria salute, ma anche dal punto di vista etico e della sostenibilità ambientale. Volendo azzardare una stima, diciamo che il 15-20% della popolazione cerca ormai di mangiare in modo più sostenibile.

 

 

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Il cibo del futuro sarà più vegetale e sostenibile? È ragionevole pensare che nei prossimi decenni smetteremo di mangiare derivati animali?

Premesso che le tendenze sociologiche sono davvero impossibili da prevedere e che la situazione è variegata e in divenire, con scenari che cambiano giorno per giorno, escluderei che si possa arrivare a non mangiare derivati animali, perché storicamente non è mai successo. Le percentuali di consumatori con una dieta vegana o vegetariana restano inferiori al 10%, ma aumentano i cosiddetti flexitariani, ovvero coloro che scelgono di mangiare carne solo occasionalmente, mossi da preoccupazioni legate alla salute, all’ambiente e anche di natura etica. Detto questo, la consapevolezza e l’attenzione al benessere animale crescono anche tra gli onnivori. E da qualche anno si assiste a un calo incontrovertibile e consolidato del consumo di carne rossa (secondo un rapporto Ismea, in Italia nel 2022 c’è stata una riduzione del 7% degli acquisti domestici di carne bovina, ndr). Crescono invece i consumi di frutta fresca e verdura (rispettivamente +11,6% e + 9,3% secondo il Rapporto Coop 2022, ndr), ma anche di frutta secca e piatti pronti vegetali.

 

Quale ruolo avranno in futuro le nuove tendenze come i prodotti alimentari a base di insetti, la cosiddetta fake meat e i superfood? Si tratta di mode passeggere o dobbiamo aspettarci che il cibo del futuro sia sempre più tecnologico?

Questa è forse la domanda più importante, in tema di futuro dell’alimentazione umana: il cibo del futuro sarà ancora “naturale” o meno? Al momento non è possibile stabilire quale sarà l’impatto effettivo delle nuove tecnologie sulle produzioni alimentari, né quali problemi incontreranno i vari superfood nella loro affermazione sul mercato. Per alcuni prodotti, dovremo anche distinguere nel tempo tra moda e fondamento scientifico, visto il dilagare degli influencer e dei profili social sul tema. In ogni caso, non credo si debba pensare a prodotti come la carne artificiale o le farine di insetti come sostitutivi di quelli tradizionali, ma come “alternative al solito” nella dieta quotidiana. Da un punto di vista ambientale e sociale, il cosiddetto cibo artificiale potrà essere utile in situazioni di carenze alimentari e malnutrizione, ma anche per ridurre lo sfruttamento del suolo, dell’acqua, delle risorse forestali. Oltre che per contribuire al benessere animale.

 

 

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E quale contributo daranno social e influencer nell’evoluzione del costume alimentare collettivo e nella definizione di quello che sarà il cibo del futuro?

Senz’altro stanno già avendo un ruolo chiave, e lo vediamo dalla diffusione di alcune tendenze e anche dall’esplosione di prodotti considerati superfood, dall’avocado ai semi di chia, al kefir etc. Il rischio però, come in altri ambiti, è che i consumatori si affidino a personaggi che non hanno reali competenze in materia, o che agiscono addirittura mossi da interessi economici personali. In questo senso sarà fondamentale investire nell’educazione alimentare, soprattutto a vantaggio dei giovani e partendo da realtà come la scuola e la famiglia, che forse non sono sempre state in grado di mantenersi al passo coi tempi. In questo processo educativo resta indispensabile garantire il rispetto di tutti i punti di vista, senza imposizioni di sorta. E fare attenzione anche a derive pericolose come l’ortoressia e l’ossessione per la magrezza, che meritano un discorso a parte.

 

Un paese come l’Italia, nel quale la cultura gastronomica e le tradizioni alimentari hanno un peso particolare, potrebbe fare più fatica ad aprirsi a nuove tendenze in campo alimentare?

Non intravedo una criticità, da questo punto di vista. Credo che, come spesso accade in materia di innovazione, saranno le grandi città, le generazioni più giovani e certi ambienti più elitari a guidare il cambiamento, diffondendolo pian piano al resto della società. E non penso che l’affermazione di nuove tecnologie alimentari possa andare a discapito del made in Italy e delle produzioni locali. Semmai, bisognerà rieducare anche a sapori più tradizionali schiere di giovani ormai abituati quasi solo a sushi, kebab e poke.

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