E se fosse l’agricoltura a salvare gli oceani? Foto: Canva
Giornata mondiale degli oceani

E se fosse l’agricoltura a salvare gli oceani?

Il 35% delle popolazioni ittiche nei mari, ricorda la Fao, è sovrasfruttato. Una risposta a questo fenomeno potrebbe arrivare dall’acquacoltura che guarda verso la sostenibilità anche attraverso l’utilizzo di mangimi vegetali. L’obiettivo del progetto Agrifish per l’applicazione dei modelli circolari in questo settore

Enrico Nicosia 8 Giugno 2023

Un contributo importante per la salute degli oceani, di cui si celebra l’8 giugno la Giornata mondiale, potrebbe arrivare dalle aziende agricole, distanti in alcuni casi anche decine di chilometri dal mare. Vale a dire dagli scarti vegetali destinati per lo più al macero e che adesso, all’insegna dell’economia rigenerativa, vengono studiati come ingredienti per nuovi mangimi da usare negli allevamenti ittici. Lo spiega Germana Borsetta, esperta d’innovazioni agroalimentari presso l’Università di Camerino e coordinatrice del progetto AgrI-FiSh, centrato proprio sulla ricerca di cibo innovativo per l’acquacoltura:

 

La ricercatrice della Fao, Germana Borsetta (Foto: Flickr/Fao)

«In passato, per produrre un chilogrammo di pesce allevato servivano fino a due chilogrammi di pescato. Un sistema non sostenibile per il quale è necessario trovare nuove soluzioni».

Verso un’acquacoltura sostenibile

Queste innovazioni sono una parte fondamentale di “Trasformazione Blu”, il percorso lanciato dalla Fao per raggiungere la sostenibilità dei sistemi alimentari acquatici. Secondo l’ultimo rapporto sullo stato della pesca e dell’acquacoltura, redatto nel 2022 dalle Nazione Unite, entro il 2030 la produzione totale di animali acquatici importanti per l’alimentazione supererà i 200 milioni di tonnellate. Una crescita del 15% rispetto alla resa attuale di pesca e allevamenti ittici, legata soprattutto allo sviluppo dell’acquacoltura. Questo settore, che già oggi garantisce la metà della produzione alimentare globale legata agli ambienti acquatici, è lievitato negli ultimi anni soprattutto a scapito dell’ambiente e della salute degli animali. Affollamento nelle vasche di allevamento, uso massiccio di antibiotici e consumo di mangimi di origine animale sono le principali criticità legate all’acquacoltura, che potrebbe rappresentare invece una soluzione per alleggerire la pressione sugli stock ittici globali. Basti pensare che, secondo stime recenti della Fao, la percentuale delle popolazioni ittiche sovrasfruttate è passata da circa il 10% negli anni ’70 al 35,4% nel 2019.

 

Un impianto di acquacoltura

L’acquacoltura, se gestita in maniera sostenibile, potrebbe rappresentare un alleggerimento della pressione sugli stock ittici (Foto: Canva)

Ricette a basso impatto

Questa percentuale diventa ancora più preoccupante in alcune regioni del mondo. L’ultimo rapporto della Fao sullo stato della pesca nel Mediterraneo e nel Mar Nero indica infatti che qui circa il 73% delle specie commerciali è sfruttato oltre i livelli biologicamente sostenibili. Diversi progetti sono quindi in campo per favorire lo sviluppo di un’acquacoltura a basso impatto e il primo nodo per il settore è la ricerca di mangimi innovativi. In collaborazione con alcune aziende agricole, i ricercatori del progetto AgrI-FiSh, attivo in Algeria, Italia e Spagna e finanziato dall’iniziativa “Prima” (Partnership for Research and Innovation in the Mediterranean Area) nell’ambito del programma Horizon 2020, studiano ricette per nuovi mangimi a base esclusivamente vegetale. «Lavoriamo per sostituire la parte proteica e lipidica dei mangimi di origine animale con nutrienti che provengano da materiali di scarto come cereali, legumi e vinaccioli che ci forniscono alcune aziende agricole» aggiunge la ricercatrice Borsetta. E il vantaggio, nell’ottica del modello circolare, sarebbe anche economico: «Per gli agricoltori smaltire i prodotti di scarto ha un costo. In questo modo, invece, gli scarti diventano una risorsa».

 

Proteine su misura

I ricercatori, unendo le conoscenze di agronomi, biologi, veterinari ed ecologi hanno sviluppato per il momento due formule di mangimi che sembrano gradite dai pesci. Tramite le analisi biologiche i ricercatori valutano inoltre l’impatto delle nuove diete sull’accrescimento e il benessere degli animali, migliorando quando necessario le loro ricette. «Ogni pesce ha bisogno di un apporto proteico specifico e le formule dei mangimi possono essere aggiustate a seconda della specie allevata. Noi, per esempio, stiamo lavorando adesso con pesci d’acqua dolce, ma l’obiettivo finale è lo stesso: creare un prodotto di qualità da destinare all’acquacoltura, che abbia il minor impatto possibile», racconta Borsetta.

 

Anche attraverso il giusto apporto proteico durante l’alimentazione dei pesci è possibile contenere l’impatto dell’acquacoltura (Foto: Canva)

Ridurre i medicinali

Lo spostamento verso un’acquacoltura sostenibile non può prescindere poi dalla salute degli animali allevati. «Negli allevamenti ittici intensivi, i pesci sono concentrati in vasche ad alta densità, dove la diffusione di patogeni è maggiore ed è richiesto un massiccio uso di antibiotici», spiega Borsetta. L’uso di medicinali nelle produzioni alimentari è aumentato vertiginosamente negli ultimi anni, contribuendo diffondere un’emergenza sanitaria globale: l’antibiotico resistenza. Come valutato in un recente studio pubblicato su Nature, solo nell’acquacoltura vengono usate circa 10.000 tonnellate di medicinali l’anno e i ricercatori stimano che entro il 2030 questo dato è destinato a crescere del 33%. «Il nostro obiettivo deve essere anche quello di fornire ai pesci un ambiente sano, con vasche meno affollate e nutrienti in grado di garantire lo sviluppo di un sistema immunitario efficiente», conclude Borsetta. I mangimi a base vegetale sviluppati dai ricercatori del progetto AgrI-FiSh, per esempio, contengono lactobacilli ed erbe mediche che potrebbero ridurre l’uso di antibiotici negli allevamenti ittici. I ricercatori sono ora all’opera per valutare l’efficacia delle nuove diete nel contrastare la diffusione dei patogeni.

 

L’utilizzo degli antibiotici negli impianti di acquacoltura (Fonte: Nature, Sci Rep 10, 21878, 2020)

Materiali bio nelle acque

Parallelamente a questi studi, altri progetti sono impegnati nella ricerca di materiali biocompatibili per ridurre l’impatto ambientale delle attrezzature usate negli allevamenti in mare. Un esempio è il progetto Life Muscles, coordinato da Legambiente e sviluppato insieme all’Università di Bologna, la Sapienza Università di Roma e l’Università di Siena, che nel golfo di La Spezia sta sperimentando la sostituzione delle calze in plastica usate nella miticoltura – l’allevamento di cozze – con calze compostabili. Sono solo alcune delle innovazioni necessarie per contribuire alla salute degli oceani e rendere l’acquacoltura un sistema di produzione alimentare sostenibile. Un settore sempre più in crescita, in grado di muovere in mercato di oltre 280 miliardi di dollari e garantire la sopravvivenza di milioni di persone, che non può più gravare sull’ambiente.

Guarda il video del progetto Life Muscles

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