Far pace con i fiumi. A tu per tu con Stefano Fenoglio, il paladino delle acque dolci
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Far pace con i fiumi. A tu per tu con Stefano Fenoglio, il paladino delle acque dolci

Il naturalista e docente dell’Università di Torino ci racconta perché la nostra storia è legata a filo doppio con i bacini idrici. E come possiamo recuperare un rapporto positivo con questi preziosi ecosistemi. Prima che sia troppo tardi

Marco Fratoddi 16 Ottobre 2023

«I fiumi sono l’ambiente naturale che più di ogni altro ha permesso alle società umane di nascere ed evolversi. Agricoltura, commercio, fondazione delle città. E ancora differenziazione del lavoro, sviluppo dei trasporti e altre innovazioni tecnologiche: tutto questo e molto altro è nato sulle rive di un fiume». Stefano Fenoglio, 53 anni, coltiva da sempre la passione per la natura e in particolare per quegli organismi complessi, dotati di una loro fisionomia e identità, che sono i corsi d’acqua. Oggi è professore ordinario presso il “Dipartimento di Scienze della vita e biologia dei sistemi” all’Università di Torino e rappresenta una delle voci più autorevoli sulla tutela di questo habitat nel quale si misura una delle sfide più importante del nostro tempo, quella per l’equilibrio fra ecosistemi e pressione antropica.

L’abbiamo incontrato al Circolo dei lettori di Torino durante la presentazione di Uomini e fiumi (Rizzoli, 2023): il suo volume che sembra volerci riconciliare, fra storia e scienza, con il sistema circolatorio dei territori.

Foto: lookingaround.it

La storia dell’uomo, lo spiega nel suo libro, si incrocia con quella dei fiumi. Oggi però le immagini che ricorrono nei media sono quelle dei grandi straripamenti, delle acque che travolgono le comunità umane. Pensa che questa narrazione corrisponda alla realtà?

Assolutamente no. Per millenni abbiamo avuto un rapporto quotidiano, continuo e capillare con le acque correnti. Oggigiorno quando sentiamo parlare di fiumi è perché è in corso un’alluvione, una siccità, un inquinamento o qualche altro preoccupante fenomeno. I fiumi sono scomparsi dal nostro quotidiano per apparire solamente in occasione di calamità. Non li conosciamo più e per questo ci fanno paura, dimenticando che la nostra vita e quella di innumerevoli altre specie dipende da loro oggi come diecimila anni fa.

 

Ci sono i problemi visibili dei fiumi, come quelli che derivano dai fenomeni estremi. Però ci sono anche quelli che soltanto uno sguardo esperto sa cogliere. Ci spiegherebbe qualche problema dei fiumi che le persone comuni ignorano?

Ad esempio il fatto che durante ogni siccità quello che colpisce l’opinione pubblica è l’aspetto legato alla quantità dell’acqua: c’è meno acqua o addirittura questa sparisce dall’alveo per lunghi tratti e immediatamente noi pensiamo a questo aspetto del fenomeno. Ma le siccità hanno anche un impatto, meno noto ma potenzialmente drammatico, sulla qualità dell’acqua: meno acqua nel fiume significa una mancata diluizione e metabolizzazione dei reflui che escono dai nostri impianti di depurazione.

Così alcuni agenti microbiologici, come la salmonella, o sostanze tossiche potenzialmente pericolose sono molto più presenti sul territorio durante i periodi di carenza idrica.

Il Po in secca all’altezza di Mantova (Foto: Canva)

In che modo le nuove generazioni potrebbero recuperare il proprio rapporto con i fiumi, riscoprirne la bellezza e la preziosità? Spetta soltanto alla scuola?

Bisogna tornare a frequentare i fiumi: noi riusciamo a gestire solo quello che conosciamo e conosciamo solo quello che frequentiamo. I paesi europei che hanno un miglior rapporto con i fiumi, in cui le persone dedicano parte del loro tempo libero a sport o attività ricreative lungo i corsi d’acqua, ottengono come risultato una migliore qualità degli stessi. La scuola svolge un ruolo fondamentale, tanto che noi come Università di Torino e Alpstream (Centro per lo Studio dei Fiumi Alpini, di Ostana e Parco del Monviso, ndr) organizziamo escursioni e lezioni proprio legate a questi temi. Ma non basta. Occorre che i cittadini si riapproprino di questo antico rapporto e comprendano che la salute dei fiumi è strettamente legata alla qualità stessa della nostra vota.

 

Bambini lungo la riva di un fiume

Foto: Parco Oglio Nord

Pensa che la governance dei fiumi nel nostro paese sia adeguata alla loro natura e al valore che rappresentano?

Diciamo che, a mio parere,  in Italia abbiamo un po’ la tendenza a fare continuamente leggi e decreti per far fronte ai problemi mentre molto spesso basterebbe far rispettare quelle già esistenti. Di fronte all’imprescindibile importanza delle acque e alla drammatica accelerazione del riscaldamento globale a me stupisce sempre molto che questi temi non siano tra i primi punti dell’agenda di chi ci amministra, a qualsiasi livello.

 

Un tubi di scarico in un fiume

Foto: Getty

Dentro il suo libro sembra scorrere un fiume, quello della sua personalità da studioso e da appassionato esploratore delle rive e degli alvei, dei bacini e delle foci. Come ha cambiato questa profonda interlocuzione con il fiume la sua concezione della vita?

Beh, è una domanda piuttosto impegnativa. Credo che noi siamo il frutto delle nostre esperienze e io in effetti sono un po’ cresciuto sui fiumi… Da piccolo ho iniziato a frequentarli assiduamente grazie ad un nonno pescatore, poi mi sono laureato in Scienze Naturali con tesi e sottotesi su questi ambienti, ho un Dottorato in Scienze Ambientali e attualmente sono un professore ordinario di Zoologia presso il Dbios dell’Università di Torino… E da sempre mi occupo di fiumi, della loro fauna e della loro conservazione.

Per me i fiumi sono un vero e proprio simbolo, un concentrato di vita, dinamismo, opportunità, passioni.

Posso dire quello che ho scritto nel mio libro: il fiume viene spesso interpretato come la metafora delle nostre vite che nascono dalla sorgente e si concludono nell’abbraccio con il mare. Per me è il contrario, nel senso che la vita è una risalita tenace verso monte, durante la quale si compiono molte scelte, nuotando spesso controcorrente.

 

Stefano Fenoglio, Rilievi piezometrici lungo l'alveo

Foto: lookingaround.it

Il titolo del suo volume, infine, fa pensare al romanzo di John Steinbeck, “Uomini e topi”, che descrive il tragico epilogo del rapporto fra l’uomo, la natura e il prossimo. È un caso? O teme che la nostra maniera di relazionarci con i fiumi stia portando verso un finale oscuro?

Adoro Steinbeck! E da giovane alcuni suoi libri mi hanno profondamente influenzato, specialmente Vicolo Cannery e ancor più Quel fantastico giovedì. Io tendo a essere una persona concreta, a resistere al pessimismo o a un facile ottimismo: la situazione è complessa e a tratti molto preoccupante. Ma noi siamo una specie ricca di risorse e i fiumi sono tra gli ecosistemi più resilienti che conosciamo. Ciò che mi ha spinto a scrivere questo libro è proprio il desiderio di far comprendere quanto siamo debitori rispetto a questi ambienti naturali e quanto ancora dipendiamo da essi.

L’unico sistema per garantire a noi e ai nostri discendenti un futuro è migliorare il rapporto con il nostro pianeta e specialmente con questi antichi, turbolenti ma generosi amici.

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