La vita sotto i piedi Foto: Canva
Territorio

La vita sotto i piedi

L’alluvione in Emilia Romagna lascia un segno profondo nelle comunità locali e nel mondo agricolo. Ma come hanno sopportato l’impatto delle acque gli abitanti del microcosmo fertile e gli apparati radicali delle piante? Il nostro viaggio nel suolo, cercando una via agroecologica per la rinascita di queste terre

Marco Fratoddi 27 Maggio 2023

Quando l’acqua si ritira il quadro che emerge, se possibile, è ancora più impietoso. Perché i campi sono impastati di melma e quella melma, sotto il sole, diventa una crosta. La vita, o almeno quel che resta della vita, qui sotto è un mistero: l’anossia, vale a dire la mancanza di ossigeno, costringe i microrganismi che abitano il suolo ad una vera e propria prova di sopravvivenza. E per le radici svariati giorni d’immersione, specialmente se si tratta di varietà da frutta, gettano una seria ipoteca sul futuro.

Il principe della fertilità

Se ne rende conto più di ogni altro Matteo Picchetti, 36 anni, perito agrario, mentre attraversa i terreni con gli stivaloni e poggia lo sguardo su quella desolazione. Siamo sui campi del gruppo alimentare La Cesenate, dove si coltivano peri, tra le frazioni di Bizzuno e San Lorenzo, poco lontano da Lugo, uno degli epicentri dell’alluvione che sulla Romagna peserà a lungo, ben oltre la finestra d’attenzione che le hanno concesso i media:

 

Matteo Picchetti, 36 anni, uno degli agronomi della Cesenate (Foto: La Cesenate)

Matteo Picchetti, 36 anni, uno degli agronomi della Cesenate (Foto: La Cesenate)

«Non so come ne usciremo, rimuovere 37 ettari di fango indurito sarà un’impresa. E nel frattempo il terreno rimane soffocato», racconta con l’inconfondibile accento di queste comunità.

Mani nel fango

I suoi occhi, anzi le sue mani, vanno sul fango. Qui il sintomo dello stress cui è stato sottoposto l’intero habitat è evidente: «Me ne sono accorto durante il primo sopralluogo, dopo che l’acqua ha cominciato a ritirarsi. Vede tutti questi lombrichi? Sono saliti in superficie cercando ossigeno, che evidentemente gli mancava nella profondità inzuppata. Sopra però hanno trovato altra acqua e sono morti».

 

I lombrichi in superficie e il terreno che si secca sui campi di Bizzuno (Foto: La Cesenate)

Le fotografie scattate durante il sopralluogo, con i lombrichi in superficie e il terreno che si indurisce (Foto: La Cesenate)

Ce ne sono a centinaia in mezzo alle carreggiate che separano  i filari degli alberi, un’ecatombe difficile da percepire per chi non abbia l’occhio clinico. «Avevamo lavorato tanto per aumentare la fertilità di questi terreni, spargendo letame e altra sostanza organica. Da una parte sono soddisfatto perché il lombrico è il principe della fertilità, significa che il nostro sforzo era stato utile. Ma adesso è tutto da rifare e le incertezze sul domani sono tante».

Vite senza ossigeno

Come dargli torto? La strage di questi invertebrati, che “consumano” residui animali e sali svolgendo un ruolo fondamentale nell’arricchimento organico, rappresenta infatti solo la parte visibile di quanto accade nel suolo agrario quando le condizioni mutano in maniera tanto radicale. Dove il microcosmo fertile in questi giorni affronta, appunto, la prova di una condizione estrema, rivelando le proprie capacità di rigenerazione. Ce lo spiega Manuela Giovannetti, docente di microbiologia agraria e professore emerito dell’Università di Pisa:

 

La professoressa Manuela Giovannetti nel suo laboratorio

La professoressa Manuela Giovannetti nel suo laboratorio

«In realtà non tutti i microrganismi presenti nel suolo hanno bisogno di ossigeno, molte specie batteriche infatti sono anaerobiche, come quelle che vivono negli habitat acquatici, dalle saline al fondo dei laghi, dalle risaie alle paludi e ovunque si trovino sedimenti anossici».

Microrganismi intelligenti

Altri elementi di questa comunità simbiotica sono addirittura anaerobici stretti, temono cioè l’ossigeno come un veleno. È il caso degli organismi metanogeni che si trovano nei sedimenti, nel rumine delle mucche e persino nel nostro intestino: «Assorbono l’anidride carbonica e la riducono a metano – riprende la professoressa – Tutte le quantità di questo gas che stiamo usando nella nostra epoca sono state prodotte durante i millenni da questi batteri».

Guarda il video della Fao sulla biodiversità del suolo

 

Ma nel microcosmo fertile che stiamo esplorando ci sono anche molti batteri aerobici, quelli cioè che metabolizzano l’ossigeno. Qual è il loro destino quando il suolo è impregnato d’acqua? Dovranno soccombere?

«Per fortuna no, o almeno non necessariamente. Li soccorre infatti la loro capacità di resilienza» aggiunge Giovannetti.

La strategia di adattamento che mettono in atto questi organismi è affascinante: «Alcuni possono entrare in una sorta di stadio vegetativo, detto “Vitale non coltivabile”, in sigla Vnc, quando poi lo stress è passato riprendono lo status ordinario – spiega ancora la docente – Altri invece possono attivare una respirazione anaerobica che permette loro di assumere energia tramite solfati, nitrati e composti ossigenati». Una caratteristica che li mette in grado di traguardare anche le situazioni di segno diametralmente opposto, quelle siccitose che rappresentano l’altra faccia della crisi climatica: «I microrganismi finiscono sempre per trovare la poca acqua di cui hanno bisogno. A mali estremi possono produrre delle spore che sono in pratica degli organi di sopravvivenza capaci di resistere anche a temperature elevate. O ancora si circondano di una sostanza mucillaginosa, detta esopolisaccaride, che ha il compito di trattenere la risorsa idrica, andandosi a collocare nella rizosfera, vale a dire nella zona più vicina alle radici proprio per sfruttare la parte più umida della zolla».

Radici perdute

Un discorso ben diverso riguarda la pianta e la sua fisiologia. Perché oltre ai microrganismi, che si tutelano dall’annegamento attraverso una sorta di metamorfosi, dentro la poltiglia generata dalle grandi piogge giacciono anche le radici: «Queste hanno bisogno di aria per sopravvivere. E l’immersione prolungata, come avvenuto nei giorni scorsi in Romagna, può privarle dell’ossigeno di cui hanno bisogno, causando seri danni all’apparato radicale» racconta Francesco Ferrini, ordinario di arboricoltura generale e coltivazioni arboree all’Università di Firenze. Non solo. La persistente saturazione del suolo può creare un ambiente favorevole allo sviluppo di batteri e funghi nocivi, il marciume radicale inoltre può indebolire la stabilità della pianta e compromettere la sua capacità di assorbire acqua e sostanze nutritive. C’è poi tutto il resto dell’albero, come spiega il professore: «L‘immersione prolungata può far marcire il tronco. L’acqua può penetrare nel legno e favorire le infezioni che lo decompongono». E sulla chioma?

 

Francesco Ferrini è ordinario di arboricoltura generale all'Università di Firenze

Francesco Ferrini è ordinario di arboricoltura generale all’Università di Firenze (Foto: Youtube/Comune di Firenze)

«Sulla chioma le conseguenze consistono in una ridotta crescita delle foglie che possono anche cadere, in seccumi diffusi, fino alla morte della pianta».

Variabili complesse

Gli alberi d’altro canto sono esseri complessi, avverte il professor Ferrini che alla centralità di questi viventi ha dedicato fra gli altri il recente volume “Alberi e gente nuova per il pianeta” (Elliot editore, scritto insieme a Ludovico Del Vecchio). E la loro risposta a questo fenomeno dipende da molti fattori tra cui la durata dell’esposizione all’acqua, la temperatura che hanno dovuto sopportare e soprattutto la varietà: «In linea generale – riprende lo studioso – le latifoglie appaiono più resistenti rispetto alle conifere. Sono resistenti all’eccesso di umidità, per esempio, le diverse specie di ontano, il salice, il pioppo, la betulla e l’olmo». Se parliamo di alberi da frutto invece gli effetti sono più gravi:

«Sono generalmente più vulnerabili alla sommersione per diverse ragioni. Quella principale è che molti alberi da frutto possiedono un sistema radicale relativamente superficiale rispetto agli altri, dunque più suscettibile ai danni».

Corsa contro il tempo

Le conseguenze biologiche sul territorio della Romagna, dove la frutticoltura è di casa, sono drammatiche: secondo Confagricoltura si contano 10 milioni di piante da frutto irrimediabilmente danneggiate e 40 milioni di alberi che potrebbero essere estirpati durante le prossime settimane, comprese le varietà più resistenti come il melo, il pero, il susino e il ciliegio. La voragine economica, per rimanere al solo comparto agricolo, è senza precedenti con danni per 32mila euro ad ettaro nei frutteti, vigneti e oliveti. Ci sono poi i seminativi e le orticole, che subiscono danni fino a 6.000 euro ad ettaro, escludendo i raccolti perduti e il costo dei reimpianti. E la corsa, nelle aziende, è contro il tempo: «Le colture corrono il rischio d’importanti attacchi di malattie funginee dovute all’umidità, anche perché non si può entrare ancora nei campi con le attrezzature per arieggiare il suolo – conferma Fabrizio Ceccarelli, direttore di Sais, la società sementiera del gruppo La Cesenate – Le piante dovranno restare ancora per qualche mese nei terreni costipati, sui quali potrebbe abbattersi peraltro altra pioggia, con il rischio di asfissie se non potremo intervenire subito con una sarchiatura lungo le interfile».

 

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Comune Di Cesena (@comune_di_cesena)

Ripensare la convivenza

C’è da considerare poi un altro aspetto, sul quale la professoressa Giovannetti lancia l’allarme: «Tutta l’acqua e il fango che si sono riversati nelle campagne della Romagna possono contenere diversi agenti chimici e contaminanti, pensiamo alle molte industrie allagate con olii lubrificanti, derivati dal petrolio e metalli pesanti, a eventuali pesticidi che si sono dispersi nelle acque… Sono tutti fattori che potrebbero influenzare la sopravvivenza delle comunità microbiotiche e i servizi ecosistemici che forniscono». Oltre alla melma, insomma, ci sono i residui delle attività antropiche di cui tener conto: una ragione in più per fare tesoro di quanto accaduto e ripensare i nostri modelli di convivenza nel segno dell’ecologia.

Leggi anche:  Anche noi sotto l’alluvione

Condividi questo articolo: