C’era un tempo nel quale di ambiente si parlava poco. Nel quale i governanti di tutto il mondo erano preoccupati per un possibile conflitto atomico. Le due principali superpotenze di allora, Usa e Urss, sperimentavano le bombe nucleari in atmosfera, sostenendo che non ci fossero rischi per la salute poiché venivano fatte esplodere nel deserto o in mezzo agli oceani. Un capo di abbigliamento femminile per le spiagge, molto succinto, fece così scalpore da prendere il nome di uno degli atolli nel Pacifico in cui si facevano “brillare” quegli ordigni: Bikini. Nel frattempo il Vietnam pagava un grande tributo di sangue alla contrapposizione fra i blocchi, i giovani americani ed europei reclamavano un mondo diverso sulle note dei Beatles e dei Rolling Stones. E i tre astronauti della missione Apollo 8 – Frank Borman, James Lovell e Bill Anders – fotografavano dall’orbita lunare l’alba che sorgeva sulla Terra.
Offrivano all’umanità l’immagine plastica di un unico pianeta. Del solo pianeta che l’umanità avrebbe mai potuto avere.
Anni cruciali
Fu in questo clima che nacque l’idea di dedicare una giornata a quell’organismo complesso e meraviglioso che ospita l’umanità, la Terra appunto. L’intuizione venne a Gaylord Nelson, un senatore del Wisconsin noto per le sue battaglie come difensore dei consumatori, dei diritti civili e una delle prime voci a sollevarsi per la pace nel mondo. Era il 1970 e la data prescelta fu il 22 aprile, un mercoledì fra le vacanze di primavera e gli esami di fine anno nei college americani: il giorno perfetto per attivare i giovani e, tramite loro, le coscienze di tutti gli altri.
Oltre ogni aspettativa
Il successo fu clamoroso, 20 milioni di persone scesero in piazza negli Stati Uniti e migliaia furono gli incontri che portarono i pionieri del pensiero ecologista a confrontarsi con il pubblico nei parchi, nelle università e in mille altri luoghi d’incontro. Così scriveva il Time: «L’agenda dell’ecologo Barry Commoner era la più fitta e gli imponeva di correre da Harvard o dal Mit al Rhode Island College e infine alla Brown University. Il biologo Paul Ehrlich era in fila per intervenire all’Iowa State, il biologo René Dubos all’Ucla, Ralph Nader alla State University di New York a Buffalo». E ancora:
«Alcuni eroi per i giovani come il dottor Benjamin Spock, il poeta Allen Ginsberg e diverse rock star si sono organizzate per dire la loro, se non proprio sull’ecologia, sulle gioie della vita naturale».
Mobilitazione globale
Sarebbe stato l’inizio di una celebrazione, l’Earth day, che ancora oggi prosegue ogni 22 aprile in tutto il mondo (Italia compresa) e che non a caso Terranea ha scelto per mettere radici e avviare le proprie pubblicazioni. Uno snodo fondamentale fra due decenni che hanno visto maturare la consapevolezza ambientale, già a partire dal 1962, quando la biologa marina Rachel Carson aveva pubblicato il suo celebre Primavera silenziosa che denunciava le conseguenze per la salute umana dell’utilizzo indiscriminato di pesticidi in agricoltura. Due anni dopo la mobilitazione, nel 1972, a Stoccolma si sarebbe tenuta invece la Conferenza internazionale sull’ambiente umano che portava per la prima volta sul tavolo dei governi una sensibilità sempre più diffusa verso la salvaguardia degli ecosistemi a beneficio delle future generazioni.
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Fiumi in fiamme e greggio nell’oceano
I motivi per allarmarsi d’altro canto non mancavano. Aveva sollevato una grande attenzione mediatica il caso del “fiume in fiamme”, vale a dire il Cuyahoga, in Ohio, che per l’ennesima volta, il 22 giugno del 1969, si era letteralmente incendiato a causa della concentrazione nelle acque di idrocarburi e altri materiali infiammabili. Altrove, anche in Europa, cresceva la preoccupazione per l’inquinamento industriale e urbano: il fenomeno del “grande smog” di Londra, che aveva provocato nel 1952, una vera e propria emergenza ambientale, aveva suonato come un campanello d’allarme sugli effetti collaterali del boom economico nel dopoguerra.
Ma per arrivare al 1970 e alla nascita dell’Earth day, dobbiamo fare tappa nel Canale di Santa Barbara in California.
Qui infatti, fra il 28 gennaio e il 7 febbraio del 1969, si consumò uno dei più gravi incidenti ambientali di sempre, il terzo sversamento di petrolio in mare per ordine di grandezza di tutta la storia degli Stati uniti, il peggiore in assoluto in acque californiane. A causare la fuoriuscita accidentale di greggio in mare fu un’esplosione sulla piattaforma petrolifera dell’impianto di Dos Cuadras di proprietà della Union Oil a circa dieci chilometri dalla costa. In soli dieci giorni si riversarono in mare 15mila metri cubi di petrolio. Inquinando le coste della California e provocando un disastro ecologico in mare di proporzioni gigantesche. Si contarono a vista 3.686 esemplari di uccelli marini uccisi. Mesi dopo, a maggio, un gruppo di giornalisti e fotografi visitò le isole di Santa Barbara, famose per le loro colonie di elefanti marini e di leoni marini e avvistò più di cento animali spiaggiati.
L’onda lunga dello choc
La strage di animali uccisi e di habitat fu enorme. L’evento fu così sconcertante per l’opinione pubblica che fu seguito in diretta da tre network nazionali con almeno cinquanta giornalisti sul posto. Fu questo evento ad accendere la miccia, uno choc in piena regola che avrebbe provocato l’onda lunga di una mobilitazione memorabile. Gaylord Nelson sarebbe morto di cuore a 89 anni nel 2005. Disse una volta, parodiando il linguaggio degli economisti:
«L’economia è una sussidiaria completamente controllata dall’ambiente, non l’inverso».
Sarebbe ora di dargli ragione e d’impegnarci verso una cultura ambientale che prescinda dalle catastrofi per essere presa sul serio.