Chi si ricorda ormai quali sono i prodotti di stagione? Quelle prelibatezze della terra che comparivano sui nostri mercati solo in alcuni periodi dell’anno? La grande distribuzione ci permette ormai di approfittare quasi sempre di ogni tipologia di frutta e verdura e ci ha fatto dimenticare l’importanza di seguire i cicli naturali di produzione che infatti nessuno conosce più. E questo non è un problema da poco perché soddisfare i nostri desideri alimentari e la nostra “sregolatezza stagionale” ha un maggior impatto ambientale!
Più freschi, più buoni. E più sani
Inoltre, i prodotti di stagione sono più buoni, salutari e ricchi di principi nutritivi utili al nostro organismo, oltre che più economici. E allora perché intestardirsi e consumare pietanze tipicamente estive adesso che entriamo nell’autunno? Perché rinunciare alla varietà che ci regala l’area del Mediterraneo con prodotti sempre nuovi in ogni periodo dell’anno?
Consumare alimenti fuori stagione comporta due principali svantaggi a livello ambientale:
- Il consumo di alimenti prodotti in luoghi lontani del mondo, con tutto ciò che ne consegue in termini di emissioni dovute sia alla produzione che al trasporto
- Il maggior impatto ambientale dato dalle coltivazioni “forzate” per ottenerli nel periodo non naturale.
L’esperta racconta
Così mi spiega Anna Lenzi, ricercatrice presso il Dagri dell’Università degli Studi di Firenze:
«I prodotti coltivati in pieno campo, durante la loro stagione, in linea di massima non hanno bisogno di protezioni. Tuttavia, è frequente il ricorso ad accorgimenti molto semplici che consentono di anticipare o posticipare leggermente la produzione».
Un esempio, spiega la studiosa, è la pacciamatura, vale a dire una copertura del terreno con materiale possibilmente naturale ma che oggi è quasi sempre di plastica. «Oppure si applicano piccoli tunnel, anch’essi di plastica, che svolgono un’azione di difesa nei confronti di certe avversità climatiche, ottenendo cioè quella che si chiama semi-forzatura»
Piccole, grandi forzature
Questo se si amplia leggermente il naturale periodo di coltivazione. Ma per andare completamente fuori stagione? Ad esempio per avere i pomodori a gennaio? «A quel punto ecco che entrano in campo le serre – riprende la ricercatrice – E già di per sé l’utilizzo di queste protezioni determina un impatto ambientale, basti pensare alla plastica utilizzata come materiale di copertura». Le serre poi possono essere riscaldate tendenzialmente con combustibili fossili che producono le relative emissioni: «Questo inoltre comporta dei costi che si cerca di recuperare spingendo la produzione al massimo».
Assedio da fitofarmaci
Per questo, si deve ricorrere a maggiori input produttivi, ovvero fertilizzanti e fitofarmaci, soprattutto fungicidi. Ma dipende molto dal tipo di coltivazione e dalla zona, come conferma la tesi di dottorato realizzata da Barbara Pagniello presso l’Università degli Studi della Tuscia: «In uno studio effettuato nel Lazio è emerso un utilizzo di fitofarmaci superiore del 18% nelle coltivazioni di serra rispetto a quelle di pieno campo – si legge – Ma questo soprattutto per il maggiore utilizzo di fungicidi, del 23% in più in serra, mentre per gli erbicidi la situazione risultava rovesciata (-82% in serra)». Per quanto riguarda invece l’acqua generalmente le serre permettono una maggior efficienza d’uso e quindi un minor utilizzo.
Rispetto per la terra
Per ridurre l’impatto sull’ambiente delle nostre abitudini in cucina, è quindi importante tornare anche al rispetto della stagionalità dei prodotti della terra. Scegliere le varietà del periodo significa anche approfittare di una produzione locale o comunque nazionale.
Con tutti i vantaggi che ne conseguono sul piano del gusto, dell’impatto ambientale e sociale.