La desertificazione sul Pianeta avanza. Basti pensare che ogni anno, secondo l’Unep, 12 milioni di ettari di terreno, che potrebbero produrre 20 milioni di tonnellate di grano, vengono persi a causa della siccità e dell’inaridimento. Nel mondo il 15% del territorio è a rischio desertificazione e più del 40% della popolazione vive in terre degradate. Non solo: secondo la “Convenzione delle Nazioni Unite sulla lotta alla desertificazione”, che proprio nel 2024 compie trent’anni, il numero e la durata dei periodi di siccità dal Duemila ad oggi sono aumentati del 29%. E l’Italia non è esente da questo fenomeno visto che, secondo l’Ispra, il suolo nazionale per il 28% è degradato e a rischio inaridimento.
Non a caso proprio a questo tema è dedicata la Giornata Mondiale dell’Ambiente che si celebra, dal 1972, ogni 5 giugno. Ma cosa sta causando questi squilibri, quali sono i rimedi? E quali sono le conseguenze per alberi e piante delle prolungate siccità cui assistiamo negli ultimi anni?
Ne abbiamo parlato con Francesco Ferrini, ordinario di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree all’Università degli studi di Firenze.
Professor Ferrini, come si manifesta la desertificazione in Italia?
Il nostro paese è tra quelli più a rischio desertificazione nell’ambito del bacino Mediterraneo, insieme a Spagna e Grecia. La desertificazione si manifesta con un progressivo deperimento della vegetazione, che interessa anche quella autoctona, che è presente da centinaia di migliaia di anni e che si è adattata al clima tipico dell’area mediterranea. Clima che oggi sta cambiando, purtroppo piuttosto rapidamente. Il problema per le piante è proprio il disallineamento tra velocità nell’adattamento e quella del cambiamento climatico. In passato le piante avevano la possibilità di adattarsi gradualmente al clima che cambiava. Ora la velocità del cambiamento fa sì che questo non sia più possibile e le piante vanno incontro al deperimento e alla morte.
Ci potrebbe spiegare dal punto di vista della pianta cosa accade quando diminuisce l’acqua disponibile?
Avvengono diverse alterazioni, alcune sono temporanee, altre sono permanenti. In caso di siccità breve questi fenomeni sono reversibili, invece se la siccità è prolungata diventano permanenti. In questo secondo caso si tratta di disidratazione cellulare, di un’inattivazione di enzimi, di alterazione dei cicli biologici e di una maggiore predisposizione agli attacchi dei parassiti secondari.
In realtà neanche lo stress da siccità breve va sottovalutato, perché comporta una riduzione degli scambi gassosi e quindi dei servizi ecosistemici che le piante possono fornire, nonché una minor produzione di carboidrati e un maggior consumo di riserve: questo determina un indebolimento della pianta che diviene, anche in questo caso, più vulnerabile ai parassiti secondari.
Naturalmente, la siccità avrà un impatto e una gravità diversa a seconda che riguardi coltivazioni oppure vegetazione e alberi, ad esempio, del verde urbano…
Certamente. Nel caso delle coltivazioni a scopi alimentari, questi fenomeni vanno a minare tutto il ciclo dell’alimentazione. Rischiamo, quindi, di fare i conti, in futuro, con una riduzione delle forniture dei prodotti alimentari, non solo per gli alimenti vegetali perché minor foraggio disponibile significherebbe anche potenzialmente meno carne. Dovremo orientarci verso colture maggiormente tolleranti alla siccità, in grado di dare produzioni elevate anche in condizioni di scarsità idrica. Non è semplice, né si fa dall’oggi al domani. Nel caso del verde urbano, invece, quello che sta accadendo e accadrà è che le piante crescono meno e muoiono e si perde l’investimento fatto per metterle a dimora.
Ci può fare un esempio di colture che richiedono meno acqua?
I cereali autunno-vernini, come grano duro, grano tenero, orzo, avena, farro e segale, hanno un contenuto bisogno di acqua. Tuttavia, a causa della siccità invernale, quest’anno molti coltivatori del sud Italia non hanno potuto seminare il grano e questo si ripercuoterà sulla produzione di pasta e non solo. È un problema che riguarda la siccità sia estiva, sia invernale. È chiaro però che colture come il mais, che richiedono grandissimi quantitativi d’acqua, potrebbero comportare in futuro grossi problemi per quanto riguarda la sostenibilità ambientale. Non sto dicendo di non seminare il mais, che è uno degli alimenti primari, bisogna solo valutare dove seminarlo, ovvero dove è possibile garantire un adeguato rifornimento idrico che ne assicuri una produzione sostenibile.
Per quanto riguarda il verde urbano, invece, quali possono essere nell’immediato degli interventi per fronteggiare la siccità?
Una strada è quella di cominciare a selezionare delle specie e cultivar con un minore fabbisogno idrico. In secondo luogo, garantire un adeguato rifornimento di acqua, magari con sistemi di irrigazione localizzata, come quella a goccia, che utilizzano meno acqua ma che forniscono comunque un sufficiente apporto idrico. Un’altra opzione potrebbe essere quella di inserire specie non autoctone ma che dimostrano una elevata tolleranza allo stress idrico, ampliando così il panorama delle varietà, considerando che molte specie utilizzate in passato richiedono, nella situazione attuale, una valutazione aggiornata.
L’allarme siccità nell’area del Mediterraneo, gennaio 2024
Come possono contribuire i cittadini?
Ad esempio segnalando all’amministrazione pubblica eventuali problemi, per esempio riguardo il non funzionamento nei sistemi di irrigazione, che può determinare danni ai nuovi impianti, più bisognosi di acqua, se non rilevato tempestivamente. E poi si può partecipare in modo costruttivo a delineare un paesaggio urbano che sarà diverso dal passato, con la consapevolezza che aumentando la biodiversità si possono limitare i problemi al verde urbano dovuti alla scarsità idrica.
Prendendo spunto dal suo libro “La terra salvata dagli alberi”, vogliamo ricordare che gli alberi hanno un ruolo fondamentale nel contrasto al cambiamento climatico?
Gli alberi ci hanno consentito la vita su questo Pianeta da sempre. Sono sulla Terra da circa 400 milioni di anni e si sono evoluti molto più della specie umana, di tanto più recente. In questo momento stanno subendo fortemente problemi che spesso sono determinati da noi: siamo noi che non li mettiamo in condizione di fronteggiare il cambiamento climatico. Le città, che stanno cambiando, le progettiamo senza tener conto dei servizi ecosistemici che gli alberi ci offrono.
Parliamo di Smart City,
di Future Cities, ma come può una città
essere intelligente se non ha il verde, che ci consente di respirare e di vivere?