«In questo periodo si sono raccolte nell’alveare, dove creano un ambiente caldo con i propri corpi e il battito delle ali, il glomere, per proteggere la regina. Ma le rivedremo presto volare sui campi, con i primi tepori della primavera». Il mondo delle api è affascinante e misterioso come pochi altri, con le loro dinamiche collaborative, la capacità di comunicare attraverso diversi linguaggi e l’instancabile dedizione nella raccolta di materia prima dalla natura.

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Passione in movimento
Un vero e proprio ecosistema delicato e complesso dal quale dipende, come sappiamo, larga parte dei processi di rigenerazione sul Pianeta. E intorno al quale ruota una vera e propria cultura, un movimento di persone che ne interpreta i segni e ne valorizza l’operosità, non solo dal punto di vista economico, come una vera e propria missione di vita.
Basti pensare che gli allevatori di api in Italia, secondo l’Anagrafe apistica nazionale, nel 2023 (ultimo dato disponibile) sfioravano quota 75.000, quasi mille in più rispetto all’anno precedente. Ben 55.000, quasi il 75%, portano avanti quest’attività per pura dedizione verso questi delicati e meravigliosi impollinatori, dunque a titolo personale o familiare, senza finalità commerciali.

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Ma che cosa spinge così tante persone a sposare un’attività che richiede costanza, investimenti e preparazione? E come si può intraprendere questo percorso?
Prima di tutto, l’amore per la natura
Lo abbiamo chiesto a uno di loro, Enrico Baroni, 53 anni, laureato in chimica e responsabile ambientale in una società romagnola che recupera scorie dagli inceneritori per immetterle nel ciclo produttivo dell’acciaio. Un operatore della circular economy, insomma, che ha fatto delle api qualcosa di più che non un semplice hobby, un mondo al quale ispirarsi e dal quale apprendere molti insegnamenti: «Già da bambino ho sempre coltivato un amore viscerale per l’orticoltura e la campagna. E in questo quadro ho collocato l’allevamento delle api», racconta.

Foto: Enrico Baroni
Storia di famiglia
L’idea di dedicarsi a queste esseri fondamentali per la biodiversità nasce in realtà sulla scorta di una memoria familiare, quella che riguarda suo nonno materno: «Era tornato dalla Grande guerra senza terra e senza lavoro, perciò si mise a fare l’apicoltore. Non ho potuto conoscerlo di persona ma il racconto di quel suo percorso è giunto fino a me e mi ha ispirato». Così Enrico ha impiantato il suo primo alveare, una quindicina d’anni fa, nella sua casa di campagna sulle colline della toscana aretina, con l’aiuto di un amico che aveva già intrapreso questa strada.
Consigli preziosi
Un paio di cassette appena che però, nonostante l’inesperienza, gli permisero di produrre durante la prima estate i suoi primi 20 chilogrammi di miele. È stato l’inizio di tutto: «Più avanti sono stati fondamentali gli insegnamenti che mi hanno dato alcuni professionisti conosciuti durante il mio percorso e l’associazione di categoria della Romagna. Così ho ingrandito l’apiario fino ad arrivare oggi a quindici famiglie, seguendole prevalentemente nei weekend. Ma è stato sufficiente per dare una certa stabilità a questo progetto».

Gli alveari di Enrico Baroni sotto le mele cotogne
Momenti difficili
I momenti difficili, nel suo cammino da apicoltore, certo non sono mancati. I virus e gli altri patogeni sopraggiunti anche su questo territorio hanno messo a rischio negli anni intere colonie di api: basti pensare al “virus delle ali deformi”, il più diffuso d’Europa, che aveva colpito quasi il 70% degli alveari emiliano-romagnoli, secondo uno studio pubblicato nel 2022 su Veterinary sciences. Oppure alla diffusione dei pesticidi, soprattutto nelle zone di pianura, che intossica e disorienta gli sciami.
Gli effetti del cambiamento climatico poi facilitano le infezioni e creano condizioni anomale per gli impollinatori. Fino agli eventi estremi, come l’alluvione che nel 2023 da queste parti ha annientato ben 250 milioni di api, investendo anche gli alveari di Enrico: «L’apicoltore deve essere preparato a queste avversità, sempre più frequenti. Bisogna sapersi rimboccare le maniche e ripartire con spirito costruttivo» commenta.
Le arnie di Enrico dopo l’alluvione in Romagna del 2023
Costi e (pochi) ricavi
Attualmente Enrico possiede i propri alveari nell’entroterra del Ravennate e la casa rurale a Ripoli di Monterchi, in provincia di Arezzo, dove peraltro ha rigenerato un antico uliveto, un castagneto e altre piante da frutto dimenticate come le mele cotogne o i mandorli.
I costi sono relativamente contenuti, per le sue arnie Enrico investe circa duemila euro l’anno fra materiali, sciami, nutrimento per le api, attrezzi e ricambio biennale della regina. I ricavi ovviamente sono circoscritti perché, soprattutto in Romagna, il prezzo del miele è piuttosto basso rispetto ad altre zone d’Italia, inoltre buona parte del prodotto viene destinata all’autoconsumo familiare o alla donazione.
Gli alveari sulle colline a Ripoli di Monterchi (Ar)
Il vero compenso
Ma c’è un altro compenso che resta dalla lunga interlocuzione con questi viventi, un importante patrimonio d’insegnamenti: «Quello del rispetto dei tempi e dei cicli vitali dell’alveare, poi la consapevolezza che nella società delle api esistono delle precise gerarchie che ne garantiscono la sopravvivenza». E ancora un forte rispetto per le dinamiche della natura: «Per quanto lo si voglia imbrigliare, un alveare non si potrà mai controllare fino in fondo: gli sciami partono in maniera spesso imprevedibile, le regine con le proprie decisioni determinano il destino di tutta la colonia, le api in assenza di fiori si adattano a raccogliere la melata… Dobbiamo accettare l’imperscrutabilità di questo ecosistema».

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Passaggio di testimone
E per il futuro come potrà evolversi questa esperienza, quali altri risvolti sta sperimentando? «Prima di tutto quello sociale, sto cercando di coinvolgere dei ragazzi del territorio nella gestione delle mie arnie. Qualcuno si sta appassionando, mi piacerebbe se un domani fossero loro a portare avanti questa attività». Sempre con lo scopo di formare persone sensibili e attente alla protezione degli habitat, prima che professionisti:

Enrico Baroni con suo figlio Nicola
«Ma chissà che per qualcuno di loro – conclude Enrico – non possa diventare un’esperienza interessante anche sotto il profilo professionale».