Api

Cinquanta sfumature di miele. Il cibo degli dei secondo Lucia Piana

17 Maggio 2023 Francesca Santoro

Conosciamo davvero le caratteristiche di questo prezioso alimento che “racconta” piante e territori su cui “pascolano” le api che lo producono? E siamo in grado di riconoscerne le adulterazioni e scegliere quello di qualità? In occasione della Giornata mondiale delle api incontriamo la massima esperta italiana in materia

«Al miele pensiamo di solito al singolare, come se fosse qualcosa di univoco. Invece è un prodotto estremamente variabile: andiamo dai mieli delicati, che presentano al palato solo la componente dolce come l’acacia, il rododendro, la sulla, il trifoglio o l’erba medica, a quelli più estremi dal punto di vista del profumo o del sapore, come il miele di castagno…

È la stessa differenza che passa fra uno stracchino e un pecorino stagionato».

 

Non ha dubbi Lucia Piana, tra i massimi esperti italiani nell’analisi dei mieli: le persone comuni, compresi molti consumatori abituali, conoscono poco il miele. E faticano a cogliere la reale ricchezza di questo alimento dalle caratteristiche molto più variegate di quanto non s’immagini, tanto da “raccontare”, nel bene e nel male, il territorio nel quale “pascolano” le api che lo producono. La sua del resto è una vita dedicata per intero al mondo delle api e del miele. Lucia, infatti, nel suo laboratorio “Piana Ricerca e Consulenza” di Castel San Pietro Terme (Bologna) svolge analisi sensoriali, che insegna anche attraverso corsi e degustazioni, verifiche chimiche ed esami dei microgranuli di pollini che contengono informazioni sulle piante e sull’area geografica da cui quel miele ha origine, al punto da essere utilizzate anche in attività di biomonitoraggio ambientale.

 

Lucia Piana nel suo laboratorio

Foto: www.pianaricerca.it

La persona giusta, insomma, con cui avvicinarci alla Giornata mondiale delle api che l’Onu celebra da sei anni a questa parte il 20 maggio.

Dottoressa Piana, iniziamo con qualche parola sulle proprietà del miele…

Le proprietà sono prima di tutto quelle energetiche legate alla componente zuccherina, che è circa l’80% del totale. Lo zucchero principale è il fruttosio, che ha proprietà emollienti, calmante delle irritazioni, detossicante, leggermente lassativo. Rispetto agli altri dolcificanti il miele apporta all’organismo anche sostanze derivate dalle api, con proprietà antibatteriche, e sostanze derivate dai fiori con proprietà antibatteriche e antiossidanti.

Foto: Canva

Ma è vero che più un miele è scuro più il suo valore antiossidante è significativo, come si legge in rete?

È vero come tendenza, ma non è sempre così. Le proprietà antiossidanti del miele sono in tutti i mieli ma sono diverse da un miele all’altro perché una parte significativa di queste proprietà dipende dalle piante di origine. Una maggiore proprietà antiossidante dei mieli scuri è emersa in studi svolti in contesti diversi, spesso dovuta al fatto che nei mieli più scuri c’è una maggiore quantità di sostanze diverse dagli zuccheri, tra cui anche quelle con proprietà antiossidanti. Non è vero invece, e anche questo si trova in rete, che ogni miele ha proprietà diverse in funzione della pianta di origine: cioè non è vero che il miele di girasole è anticolesterolo, quello di castagno è ricco di ferro o il miele di tarassaco è diuretico. Si tratta di eventuali proprietà delle piante d’origine, ma non ci sono studi che dimostrino che si trasferiscano al miele.

Alcune analisi che lei svolge sulla qualità riguardano la conservabilità e la degradazione. Su questo aspetto cosa può dirci?

Il miele è un prodotto a lunga conservazione perché è costituito soprattutto da zuccheri, ma contiene anche altri elementi, più deperibili, che sono quelli che derivano dalle piante, come i polifenoli comuni a tutti gli alimenti di origine vegetale e che tendono a degradarsi: la legge dà dei parametri per misurare in via indiretta qual è il livello generale di degradazione di queste sostanze. Il concetto di freschezza è diverso da quello di altri generi alimentari ma è comunque importante per la qualità del prodotto. Un miele fresco è più fragrante, più interessante dal punto di vista gastronomico e più salutare rispetto a un miele “invecchiato”. Lo si conserva al meglio tenendolo a temperature fresche, anche se non in frigo. Fra la degradazione che avviene durante le temperature estive e una che avviene nel fresco di una cantina c’è una differenza enorme.

Foto: Canva

Guardando alla relazione del miele con l’ambiente e il territorio, quali indicazioni dovremmo seguire nel momento dell’acquisto?

A livello ambientale, come nel mondo dell’agroalimentare in genere, un’indicazione di riferimento è quella del biologico. Un’altra informazione da notare, obbligatoria per legge, è il paese di origine: qui la scelta del prodotto nazionale potrebbe essere già un’indicazione da seguire. Le informazioni che troviamo al momento in etichetta non ci aiutano molto di più, il consumatore dovrebbe conoscere già il prodotto tanto da capire se è fatto localmente o meno. Torna così il paragone col mondo dei formaggi. Dei nostri prodotti caseari siamo conoscitori. Sappiamo che il parmigiano reggiano si produce in una certa parte della Pianura Padana, che la fontina si produce in Val d’Aosta, il formaggio ragusano in Sicilia e così via. E  quando li compriamo sappiamo se ciò che ci hanno venduto corrisponde a quanto dichiarato. Sul miele ci vorrebbe una conoscenza analoga per capire come scegliere. Se ad esempio un produttore dell’Emilia Romagna mi propone un miele di agrumi io posso immaginare che non l’abbia prodotto lui, a meno che non abbia affrontato il costo di spostare gli alveari dove ci sono agrumeti estesi, ovvero nelle regioni del sud. Quando poi assaggiamo un miele dovremmo essere in grado di capire se corrisponde a quanto compare sull’etichetta.

 

 

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Per esercitare una forma di controllo?

Certo, la conoscenza dei prodotti ci aiuta anche a riconoscere le adulterazioni. Una questione ad esempio è legata all’aspetto del miele. Nella maggioranza dei casi il miele nasce come un liquido viscoso ma, visto che contiene moltissime sostanze disciolte in poca acqua, è destinato a solidificare a una velocità diversa a seconda del tipo di miele e delle condizioni in cui viene conservato. Se dopo circa sette mesi è ancora liquido, a meno che non sia di acacia, castagno o di alcuni tipi di melata, vuol dire che è stato sottoposto a trattamento termico. Trattamento che inattiva alcune sostanze che gli conferiscono le qualità antiossidanti e antibatteriche. Il miele, come il latte, l’olio o il vino è facilmente soggetto ad adulterazioni. È essenziale comprare attraverso canali soggetti a controlli. Esistono produttori molto piccoli, corretti, che etichettano il proprio miele e di questi bisogna aver piena fiducia, ma bisogna conoscerli per evitare di finire in mani poco serie.

Fra le analisi di cui si occupa quella che più ci ha colpito è quella sull’origine geografica dei mieli attraverso il riconoscimento dei microgranuli di polline rinvenuti nel prodotto.

L’analisi si basa sul riconoscimento della vegetazione e dell’uso umano che si fa del territorio, giungendo a un risultato probabilistico che consente o meno di non smentire la dichiarazioni d’origine. Non un’analisi certa ma con un livello di attendibilità che consente di proteggere sufficientemente il consumatore: le cose smaccatamente fraudolente emergono. Al microscopio si vede l’immagine del territorio mediato dalle api. Per esempio, su un raccolto estivo della Pianura Padana troviamo l’erba medica, il mais, le piante infestanti dei campi, mentre rileviamo le piante ornamentali quando è prodotto vicino a una zona residenziale.

 

Foto: Canva

Esiste quindi una mappa delle piante nelle varie regioni grazie alla quale si riesce a risalire all’origine territoriale del miele?

Non una vera e propria mappa ma una serie di informazioni presenti in pubblicazioni passate, cui gli specialisti possono attingere, perché questa è una tecnica che si usa da più di un secolo. Poi, attraverso il proprio lavoro, ogni specialista si crea una banca dati: io ho uno storico di analisi fatte fino ad ora e ciò mi consente di andare a situare ogni campione di polline “incognito” in una certa parte del mondo. Questo riguarda, sia a livello mondiale che a livello locale, le origini note. Per le origini ancora incognite la strada è da tracciare.

Può farci degli esempi?

Penso alla Turchia, che è un grosso produttore di miele: si è affacciata sul commercio internazionale da pochi anni e bisognerà a poco a poco creare una mappatura. Ma anche ad aree vicino a noi. Ad esempio, recentemente ho analizzato dei pollini della Lombardia per un biomonitoraggio su possibili contaminanti. Mi spiego: le api si possono utilizzare come “campionatori” dell’ambiente perché attraverso il raccolto delle sostanze che trovano sulle piante riportano nell’alveare un’immagine del territorio anche dal punto di vista dei potenziali contaminanti. In quello studio sono state svolte varie analisi dal punto di vista ambientale su un raccolto di pollini, mentre io l’ho analizzato per capire dove erano state le api, per poi correlare i contaminanti rinvenuti nei pollini ai luoghi. Ho trovato pollini di piante esotiche che non si giustificavano nell’idea generale della regione, che ha una parte di montagna e una di pianura, ma non zone esotiche. Poi ho pensato ai laghi. Siamo andati a vedere e quelle piante erano proprio lì, perché le aree intorno ai laghi non sono soggette a gelate importanti. Così abbiamo potuto capire dove le api avevano raccolto quei contaminanti.

Tramite le analisi sull’origine geografica del miele e del polline emergono una serie di indizi su cui non possiamo avere certezze. Ma molti indizi dipingono un quadro che può essere reale.

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