Avete mai sentito parlare di “servitizzazione”? Probabilmente la vostra risposta sarà negativa, ma potete star certi che questa pratica è entrata nelle vite di molti di noi già da diverso tempo ed è oggetto di sempre maggior interesse poiché può consentire un notevole salto in avanti nel passaggio dalla cultura del possesso a quella dell’uso.
Frutto della traduzione del termine inglese “servitization”, indica la pratica del “product-as-service” (PaaS) e ora vi spieghiamo la sua importanza nel nostro vocabolario dell’ecologia.
Oltre il possesso
La servitizzazione sostanzialmente è un modello di business nel quale un’azienda, anziché vendere fisicamente il bene, offre un prodotto come servizio. Questo approccio permette alle aziende di creare valore aggiunto, migliorare la loro competitività e stabilire relazioni più solide e durature con la propria clientela. Pensate a quante cose acquistiamo ma poi utilizziamo in maniera saltuaria. L’idea alla base del PaaS è quella di fornire ai clienti un’esperienza di utilizzo del prodotto più completa e personalizzata che vada oltre il mero acquisto. La possibilità di noleggiare beni d’altro canto non nasce oggi, ma, grazie al mondo digitale e in particolar modo agli smartphone, sono profondamente cambiati i modelli di consumo da parte del pubblico e delle aziende.

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Pratica concreta
Il concetto è strettamente correlato all’economia circolare che delinea un modello economico che mira a ridurre il consumo delle risorse naturali e l’impatto ambientale attraverso la riduzione, il riutilizzo e il riciclo dei materiali. La servitizzazione, infatti, favorisce l’adozione di pratiche sostenibili ed efficienti in tutti i casi nei quali si possa godere di un bene solo nella misura in cui se ne abbia la necessità, consentendone quindi la condivisione tra più soggetti e, pertanto, efficientando l’utilizzo considerando che più si tiene… più si paga.
Le aziende, inoltre, possono essere a loro volta incentivate ad ottimizzare l’uso delle risorse a loro disposizione e a garantire la longevità dei prodotti offrendo servizi di manutenzione e supporto visto che più il bene dura, più lo ammortizzano.

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Mobilità condivisa
Auto, bici, monopattini o motorini: oggi nelle grandi città (italiane e non solo) è possibile utilizzare il mezzo di trasporto più adatto alle singole esigenze per il tempo strettamente necessario. In tal caso si parla di MaaS: mobility as a service. Tutto ciò è frutto della sharing economy, l’esempio forse più famoso della servitizzazione che consente di avere la disponibilità di un veicolo prenotando per tempo o addirittura utilizzando, grazie alle app, uno degli esemplari disseminati sul territorio. Per un percorso breve ed agile da effettuare in solitudine una bici elettrica o un monopattino sarà l’ideale, mentre, per un tragitto da effettuare in compagnia o trasportando carichi voluminosi e/o pesanti, si potrà optare per un’auto più o meno grande.
Le declinazioni, però, non finiscono qui: dal car-sharing al car-pooling, saltando su una macchina altrui e condividendone le spese, solitamente bastano due click e si può scoprire in tempo reale se c’è qualcuno con il quale è possibile condividere il proprio tragitto.
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Vestitini, perché comprarli se puoi noleggiarli?
Non è un servizio diffuso come quello della sharing mobility, ma il noleggio in abbonamento dell’abbigliamento per bambini sta diventando una realtà ben sviluppata anche in Italia. Fra taglie sbagliate e difficoltà di indovinare i tempi di crescita (quasi mai lineare) dei pargoli, i vestiti rimangono spesso più negli armadi che indosso ai bambini. Non va inoltre dimenticato che, talvolta, pile di abiti ormai piccoli ma ancora perfettamente utilizzabili vengono dimenticate in fondo ai cassetti. I servizi di baby fashion renting consentono, invece, di noleggiare gli abiti per un ristretto periodo di tempo e di restituirli quando sono diventati troppo piccoli.
Tutto ciò che è ancora utilizzabile tornerà disponibile per altri bambini con notevole risparmio ambientale e magari (a parità di qualità) anche economico per i genitori.