«Il 20% delle superfici agricole in Italia ormai è coltivato a biologico, l’ultimo rapporto Ismea mostra che nel 2023 questo dato è aumentato del 4,5% e gli operatori di circa il 2%. Però non possiamo fare finta che vada tutto bene. E il nostro impegno deve essere quello di portare il biologico al centro del dibattito in maniera corretta, perché se ne comprenda il giusto valore e le vere problematiche».
Celebriamo la Giornata europea del biologico, istituita dalla Commissione europea per il 23 settembre, insieme a Nicoletta Maffini: dallo scorso anno presidente di Assobio e direttore generale, dal 2020, di Conapi-Mielizia, la cooperativa leader nella produzione di miele e prodotti apistici. Le principali associazioni del settore hanno organizzato per l’occasione un incontro pubblico a Bologna, utile a condividere l’impatto positivo di questo approccio sulla salute dell’ambiente e delle persone.
Proprio mentre a Siracusa entra nel vivo il G7 agricoltura, dove però i temi al centro dell’agenda sono altri.
L’obiettivo europeo della “Farm to fork”, che punta a dimezzare i pesticidi entro il 2030 e a convertire il 25% dei terreni a bio, per l’Italia si avvicina. Anche i consumi sono confortanti, almeno nella grande distribuzione, con un +5,2%. Che cosa manca per compiere il salto di qualità?
È vero, l’obiettivo del Piano strategico nazionale è pari al 25% nel 2027, il nostro paese è certamente avanti da questo punto di vista. Ma il momento storico è particolarmente complesso e lo sconvolgimento climatico sta mettendo in ginocchio il mondo agricolo, compresa l’apicoltura. Basti pensare a cosa è accaduto di nuovo in Romagna pochi giorni fa, dopo mesi di siccità e a meno di un anno e mezzo da un’altra rovinosa alluvione.
E poi non possiamo negare che ci siano grossi problemi rispetto ai volumi prodotti e all’equilibrio dei prezzi tra domanda e offerta.
Qui sta forse un punto strategico, la percezione del biologico. Crede che ai consumatori sia chiaro che cosa distingue il cibo bio da altre formule sul mercato?
Assobio sostiene il settore rappresentandolo a livello istituzionale e fornendo servizi ai propri soci, come quello fondamentale d’interpretare le nuove norme, di analizzare il mercato e promuoverlo anche attraverso momenti di divulgazione pubblica. Siamo consapevoli che la strada per la consapevolezza di questo modello è molto lunga, basti pensare che da una nostra recente ricerca è emerso come la maggioranza dei consumatori ancora non riconosca il marchio europeo del biologico. A nostro avviso bisognerebbe fare maggiore chiarezza anche tra prodotto bio e residuo zero o altri “claim green”.
Il biologico prevede metodi di coltivazione precisi, linee guida entro le quali operare e non una semplice analisi a posteriori sul prodotto finito per garantire residui ridotti.
Nonostante tutto il comparto italiano del bio è leader a livello mondiale. Pensa che siamo pronti per esportare questo modello e partecipare alla sfida verso un sistema agroalimentare globale di qualità?
Assolutamente no, ma è evidente che la sua domanda è “provocatoria”. C’è tanto da lavorare per rendere consapevoli tutti gli anelli della catena, dal campo alla tavola, in particolare sul giusto prezzo.
Dobbiamo inoltre essere consapevoli che la scelta del biologico fa parte ancora oggi di uno stile di vita, si tratta di consumatori che anche con l’atto d’acquisto vogliono portare un contributo utile non solo alla propria salute e a quella dei familiari, ma all’ambiente.
C’è una misura concreta che potrebbe accelerare questo processo?
Ci piacerebbe che il modello virtuoso dell’agricoltura biologica venisse premiato, un’agricoltura che non inquina, che contribuisce alla salubrità dei terreni e dell’ambiente dovrebbe essere agevolate dalle scelte delle istituzioni. Sono anni che chiediamo a quello che oggi si chiama “Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste” un intervento concreto, per esempio sull’iva dei prodotti biologici o un’agevolazione sui costi di certificazione.
Durante questa settimana a Siracusa si riuniscono i ministri dell’Agricoltura del G7. Come guarda il mondo del biologico a questo appuntamento?
Ci piacerebbe che l’agricoltura biologica fosse un tema centrale in questo e altri incontri ma a Bruxelles ultimamente si parla maggiormente di agricoltura rigenerativa. E anche il G7 non ha dedicato uno sguardo specifico a questo approccio, anzi l’ha completamente ignorato, nonostante la centralità dell’Italia in questo mercato, comprovato dai numeri di cui parlavamo prima. Peraltro, il biologico può essere la soluzione anche per i paesi in via di sviluppo, è un metodo che guarda al futuro, non impoverisce i terreni ma li protegge. Sarebbe davvero importante che a livello globale ci fosse più spazio per discuterne, anche in un’ottica di responsabilità etica, sta di fatto però che questo fino ad ora non è avvenuto.
Intanto i fenomeni estremi mettono a dura prova agricoltori e allevatori anche alle nostre latitudini, compreso il mondo dell’apicoltura che lei conosce bene in qualità di direttore generale di Conapi. Come state rispondendo a questo scenario?
Dopo il 2022 in cui abbiamo avuto un buon raccolto, si sono susseguiti due anni tragici, il 2023 e anche il 2024 che, come stagione produttiva, si è appena concluso. Le produzioni sono scarsissime soprattutto a causa del cambiamento climatico ma non solo, anche l’agricoltura intensiva non aiuta. Tutto il settore apistico apprezza l’agricoltura biologica. Per quanto riguarda il cambiamento climatico sia i fenomeni di riscaldamento del pianeta con primavere anticipate a cui seguono gelate drammatiche, sia la siccità hanno contribuito a raccolti scarsissimi, per alcune tipologie sotto i 5 kg per alveare.
Una situazione insostenibile per il settore e complessa per chi come noi di Conapi, nasce 45 anni fa, per valorizzare il miele dei propri soci apicoltori: il miele italiano. In questi casi estremi dobbiamo integrare le produzioni italiane con quelle estere, controlliamo attentamente la filiera e selezioniamo apicoltori professionisti. E naturalmente non lo facciamo con piacere.
Gli imprenditori stanno ricevendo il giusto sostegno nel fronteggiare questa situazione e nel praticare i processi d’innovazione verso un’agricoltura resiliente e a basso impatto?
Penso si possa e si debba fare meglio, anche le associazioni tutte degli stesso settori devono imparare a fare richieste comuni, condivise. È quello che cerchiamo di fare sia in Assobio che in Conapi. Noi italiani siamo creativi e bravissimi a superare i momenti di difficoltà, ma molto meno bravi a fare squadra.
È il momento di pensare insieme per trovare soluzioni che guardino al futuro e per essere meglio ascoltati dalle istituzioni.