Viviamo l’avventura scientifica al Polo Sud, fra gennaio e febbraio di quest’anno, a bordo della nave oceanografica Laura Bassi, la rompighiaccio dell’Osservatorio di Geofisica Sperimentale di Trieste. L’imbarcazione è impegnata nella 38a spedizione organizzata nell’ambito del Programma nazionale di ricerche in Antartide, gestito da Enea e Cnr.
Bianca immensità
Le distese di ghiaccio che ci circondano, quelle in mare e quelle sul continente, rappresentano un’incantevole immensità che i ricercatori scompongono in elementi utili a comprendere l’evoluzione del clima terrestre. Scienza e meraviglia si fondono in ogni tappa del viaggio che ci ha portato prima alla stazione scientifica italiana Mario Zucchelli, al ghiacciaio Campbell e a Cape Washington, non distante dalla base.
E poi, attraverso una sterminata banchisa, verso sud fino al Ross Ice Shelf (Ris), il ghiacciaio più grande del mondo.
Ghiacciai fantasma
Come molti altri ghiacciai antartici, il Ris scende giù dal continente e nella parte terminale si appoggia sul mare, creando una monumentale muraglia alta oltra 30 metri che costeggiamo per giorni, inseguendo con lo sguardo a destra e sinistra la tortuosa sagoma che si allunga, assottiglia e opacizza fino al punto in cui l’occhio umano non riesce più a vedere.
I fronti glaciali si estendevano ben oltre l’area in cui navighiamo.
Dove ora c’è il blu, in epoche passate c’era solo bianco. Di fatto, attraversiamo i fantasmi degli antichi ghiacciai. Studiare la loro evoluzione è cruciale per capire qual è stato l’impatto delle temperature e quindi in che misura il riscaldamento globale potrebbe contribuire alla loro ulteriore fusione.
Il progetto Disgeli
«È fondamentale formulare modelli predittivi che anticipino l’entità di future fusioni glaciali» spiega Luca Gasperini, ricercatore dell’Istituto di Scienze marine del Cnr che durante la navigazione dirige il progetto “Disgeli”, scandagliando i fondali per individuare segni di arretramento o avanzamento delle lingue glaciali sottomarine durante gli ultimi 10mila anni (ossia il periodo intercorso dall’ultima glaciazione). L’obiettivo è confrontare la variazione nel tempo dei fronti glaciali con quella dell’atmosfera intrappolata nelle carote di ghiaccio estratte sul continente col progetto Beyond Epica, che quest’anno saranno trasportate per la prima volta con la nave in Italia per l’avvio delle analisi. Aggiunge il ricercatore:
«Il raffronto ci permette di prefigurare le condizioni di CO2, e quindi di temperatura, che potrebbero innescare una fusione della calotta glaciale antartica in grado di innalzare il livello dei mari e sommergere le zone costiere».
Carotaggi nel tempo
Per determinare la variazione dei fronti glaciali vengono raccolti campioni di sedimenti che si sono depositati sui fondali marini nei punti in cui le formazioni erano ancorate alla base rocciosa. Innanzitutto vengono identificati i sedimenti con un particolare strumento acustico, chiamato Topas, dopodiché la nave si arresta sopra ogni punto e con un carotiere calato in profondità vengono estratte appunto carote di sedimento, intrappolate in lunghi tubi, che vengono trasportate in Italia per essere analizzate.
Le conversazioni con gli scienziati, in laboratorio o nelle sale di ricreazione a prua, ci aiutano a osservare il ghiaccio con occhi diversi. Impariamo che l’Antartide non è un unico conglomerato ghiacciato che si estende dal continente al mare, ma che il ghiaccio continentale (formato dalle precipitazioni nevose) è diverso dalla banchisa galleggiante, frutto del congelamento del mare.
Comprendiamo le interazioni del ghiaccio marino con gli altri due elementi freddi, l’aria e l’acqua che mantengono l’Antartide nel suo stato di mistica e aliena immobilità.
Correnti globali
«La formazione del ghiaccio marino è un fattore capace di influenzare il clima terrestre, l’acqua quando si ghiaccia rilascia infatti del sale nelle masse d’acqua sottostanti che, diventando dense e pesanti, sprofondano e fluiscono verso nord, mentre quelle calde dall’Equatore si dirigono verso i poli», spiega Pasquale Castagno, ricercatore all’Università di Messina, coordinatore scientifico della prima fase della spedizione e responsabile a bordo del progetto MORSea dell’Università Parthenope di Napoli.
«Queste correnti che fluiscono in direzioni opposte – aggiunge – innescano la circolazione oceanica globale che garantisce un’equa distribuzione del calore sul globo terrestre, mantenendo le condizioni ottimali per la vita come la conosciamo».
È stupefacente guardare il manto di ghiaccio tagliato e frantumato dalla chiglia della nave, percepire mentalmente il freddo ostile delle acque sottostanti capaci di porre fine alla vita di un essere umano in pochi istanti e al tempo stesso pensare che tutto questo gelo mette in moto un meccanismo che è fonte di vita nelle zone temperate da cui proveniamo.
Lezioni polari
Sulla Laura Bassi impariamo che il clima è una cosa complessa. «Il ghiaccio marino ha effetti paradossalmente contrapposti, infatti da una parte col suo colore bianco riflette la luce e quindi l’energia solare, impedendo il surriscaldamento del mare. Ma dall’altra, proteggendo lo stesso mare dai venti freddi, impedisce il congelamento delle acque», commenta Tommaso Tesi, paleoclimatologo dell’Istituto di Scienze Polari del Cnr.
«Perciò è importante analizzare quest’insieme di retroazioni, come ci prefiggiamo di fare col nostro progetto Greta, al fine di comprendere in quale modo la formazione del ghiaccio marino e delle acque dense, generate dal rilascio di sale, è evoluta in passato per anticipare le dinamiche future».
Gli esploratori del passato si precipitavano in Antartide per conquistare la frontiera meridionale del mondo, il continente più irraggiungibile, l’unica terra dove la civiltà umana non ha messo radici, per poi tornarsene a casa con il loro trofeo e non pensarci più. Oggi i ricercatori vengono regolarmente qui per spiegare come il ghiaccio dell’Antartide non sia solo un affascinante archetipo della terra di nessuno, ma sia soprattutto un anello fondamentale del sistema ambientale in cui l’uomo ha sempre vissuto.
Speranze per il Pianeta
Durante la nostra odissea tra gli iceberg, continuiamo ad ammirare l’Antartide dal di fuori, non ne violeremo le distese abitate, non ne raggiungeremo il cuore ambito dagli avventurieri di tutti i tempi.
Ci accontenteremo di realizzare dei ritratti da lontano, facendo volare la nostra fantasia, accontentandoci di condividere brevi istanti a tu per tu con foche e pinguini adagiati sulle loro zattere di ghiaccio vaganti nel Mare di Ross.
Siamo venuti qui a capire i misteri scientifici che si celano nelle sue acque e a portarci con noi, in Italia, le poche risposte ottenute dai ricercatori che, in quanto tali, offrono il pretesto per tornare nuovamente in questi luoghi remoti, in fondo alla curvatura terrestre.