«Agronomo, sì. Ma con uno sguardo globale». La storia di Matteo, specialista della terra Foto: Matteo Metta
Formazione

«Agronomo, sì. Ma con uno sguardo globale». La storia di Matteo, specialista della terra

Mantenere il legame con le proprie radici, nello splendido Tavoliere delle Puglie, ma aprirsi ad esperienze più ampie, per valorizzare il mondo rurale in un contesto di grande cambiamento. Il nostro viaggio nella formazione dei giovani agronomi prosegue insieme a Matteo Metta

Alice Scialoja 11 Marzo 2024

Oggi lavora come libero professionista per diverse organizzazioni della società civile, istituzioni internazionali e università. E la sua passione è raccontare e connettere la realtà delle campagne con le politiche europee, sperando un giorno di tornare fra gli ulivi e alla vita mediterranea da cui proviene. Il nostro viaggio nella formazione dei giovani agronomi ricomincia da Matteo Metta: 31 anni, dottore di ricerca in Scienze agrarie, alimentari e agroambientali all’Università degli studi di Pisa ma originario di Cerignola (Fg), dove è nato e cresciuto fra la città e i terreni di famiglia.

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Proprio in questa cittadina nel cuore del Tavoliere delle Puglie era iniziato il percorso che l’ha portato a realizzare il suo progetto, quello cioè di lavorare in un mondo complesso e in forte cambiamento come quello dell’agronomia. A partire dall’istruzione superiore, presso l’Istituto tecnico agrario Giuseppe Pavoncelli che rappresenta uno storico punto di riferimento per la formazione agricola del territorio:

 

Matteo Metta giovane agronomo

Matteo Metta in visita presso un allevamento a Witzenhausen, in Germania

«Ho scelto questa scuola perché mi piacevano le scienze e perché mi veniva suggerita dal mio contesto familiare. E tutti i giorni, dopo la scuola, lavoravo nell’azienda di mio padre», racconta.

Orizzonti da scoprire

Una storia, la sua, che ci aiuta a capire gli orizzonti che assume oggi la professione dell’agronomo. Matteo infatti, dopo le superiori, studia Scienze alimentari alla triennale e Scienze agrarie alla magistrale presso l’Università di Foggia, poi si specializza in Sviluppo rurale con un master internazionale. Quindi comincia a guardarsi intorno: «Insieme ad altri giovani agronomi molto motivati, ognuno con un background diverso, provavamo una certa frustrazione: era evidente che gli sbocchi di lavoro riguardavano la gestione amministrativa e i pagamenti della Pac, dentro un’associazione di categoria». Arriva anche la proposta di una multinazionale dei fitofarmaci, per lavorare come rappresentante. Primo colloquio e prima prospettiva di stipendio: «Ho preferito soprassedere, consapevole che rinunciavo a un’opportunità concreta, per cercare altri percorsi».

 

Un capraio nella zona rurale di Cortijo El Manzano, in Andalusia

Un’immagine scattata da Matteo Metta durante le sue esperienza di ricerca, qui in Andalusia (Foto: www.arc2020.eu)

Ruolo in evoluzione

La questione economica d’altro canto, come per tutti coloro che lavorano nel settore agricolo, non è di facile soluzione. E il ruolo dell’agronomo, almeno da noi, non si è ancora pienamente affermato: «In Italia moltissime aziende – riprende Metta – non si possono permettere un agronomo o dei servizi di assistenza agroecologica, per non parlare della diversificazione aziendale». Inoltre, aggiunge, in molte regioni gli agronomi non sono strutturati al punto da accompagnare i contadini in modo indipendente, accessibile e ambizioso rispetto alle sfide dell’agricoltura di oggi: «Questo è un problema serio – prosegue – perché si chiede molto ai contadini, ma loro si ritrovano da soli di fronte al lavoro e a rischi più grandi di loro». E il quadro è chiaro:

«Gli attori con interessi commerciali, come le assicurazioni o le industrie degli agrofarmaci, non possono essere l’unica bussola a loro disposizione».

 

Matteo Metta, Un'esperienza di coltivazione organica ad Axus, un villaggio rurale di Creta (Grecia)

Matteo Meta durante un’esperienza di coltivazione organica ad Axus, un villaggio rurale di Creta

Imparare dai contadini

Alcuni suoi amici agronomi in realtà sono riusciti ad aprire la propria attività professionale in maniera indipendente («Bisogna riconoscergli il merito, perché non è stato affatto semplice»). Lui invece, come altri studenti del suo corso, ha puntato su prospettive diverse cercando di formarsi ulteriormente e di ampliare lo sguardo. Così nell’ottobre del 2023 ha conseguito il dottorato discutendo una tesi sulla digitalizzazione e la gestione multifunzionale delle aziende.

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Nel frattempo ha accumulato un bagaglio di sociologia rurale ed esperienze di vita e lavoro in aziende diversificate dall’Italia al Belgio, dall’Irlanda alla Francia, dal Giappone a Cuba, in Grecia e adesso in Spagna: «Mi piace imparare come i contadini in diversi contesti coltivano il cibo che arriva sulle nostre tavole, ma anche come socializzano o si prendono cura della loro salute e del loro ambiente. C’è molto altro da comprendere e su cui lavorare se vogliamo rivitalizzare il mondo rurale».

 

Un contadino giapponese con il proprio trattore sul campo

Ancora uno scatto di Matteo Metta durante una delle sue ricerche sul campo, qui in Giappone un contadino sparge compost a base di caffè (Foto: www.arc2020.eu)

La posta in gioco

Una visione che lo prepara al ruolo che può svolgere l’agronomo nella contemporaneità, con i molteplici fattori d’incertezza che la caratterizzano. E sulla posta in gioco Matteo non ha dubbi: «L’agronomo dovrebbe accompagnare il contadino nella crisi planetaria in cui viviamo e non semplicemente prescrivergli le false soluzioni che ci hanno portato fin qui. Piuttosto, è una figura complessa e competente, che mette in relazione le opportunità con i vincoli che hanno i contadini, sempre più schiacciati da un mercato che li penalizza» conclude.

Una bella sfida, insomma. Tutta da vincere, sul campo e non solo.

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