Previene l’erosione del suolo e ne migliora la struttura, favorisce la biodiversità dei terreni ostacolando naturalmente la diffusione di erbe infestanti e parassiti. E aumenta la resa di alcune specie. Comincia dalla tecnica della rotazione colturale, vale a dire dall’avvicendamento di diverse varietà sugli stessi terreni, il nostro viaggio nell’agricoltura che innova.
Pratica ancestrale
Questo metodo in realtà possiede un’origine antichissima. Era già utilizzato, infatti, da Romani, Greci e nell’antica Cina diffondendosi capillarmente in Europa a partire dal Basso Medioevo. Poi era finito in ombra, con l’arrivo dei sistemi agricoli intensivi nel secolo scorso. E oggi torna a svolgere un ruolo primario per i suoi benefici ambientali ed economici. Lo conferma Rosanna Zari, dottore agronomo e Accademico corrispondente dell’Accademia dei Georgofili di Firenze, premiata nel 2022 come Miglior agronomo italiano dal magazine Vinoway:
«L’avvicendamento delle colture rappresenta un meccanismo fondamentale nel ripristino di un suolo sano e nel ritrovare un corretto rapporto fra uomo e ambiente. Specialmente al cospetto dei cambiamenti climatici cui assistiamo».
Rigenerazione naturale
Ma come funziona la rotazione? È presto detto. I benefici derivano in buona parte dall’azione meccanica delle varie specie sul terreno: alcune, le cosiddette colture depauperanti, hanno radici sottili e poco profonde che attingono i nutrienti dagli strati superficiali rendendo il suolo poroso. Altre invece, le colture miglioratrici, hanno radici forti e profonde che riescono a “strutturare” il terreno e ad attingere le sostanze nutritive e l’umidità dagli strati più profondi, rendendole di nuovo disponibili per la coltura commerciale. Tutto questo innesca un processo naturale di rigenerazione: «Durante la mia vita professionale – riprende Zari – insieme ai miei colleghi ho osservato spesso, attraverso delle analisi chimiche, la bassissima quantità di sostanza organica nei nostri suoli. Tra i risultati delle rotazioni c’è quello di migliorare la fertilità dei suoli ed evitare la propagazione di specie vegetali infestanti che seguono la coltura principale».

Foto: Getty
Lenta rinascita
Nella seconda metà del secolo scorso la rotazione era diventata via via meno diffusa in Italia e in Europa, mentre si affermavano sistemi intensivi ad alta meccanizzazione, che permettevano agli agricoltori di adattarsi meglio alle esigenze del mercato e alle prime politiche contributive europee. Solo a partire dall’Agenda 2000, approvata dalla Commissione europea nel 1997, questa pratica torna ad acquisire una progressiva centralità. Si comincia a delineare un diverso modello di conduzione agricola per il nuovo millennio e si mettono a disposizione i primi incentivi per (re)introdurre la rotazione nell’agricoltura comunitaria.
Così la diversificazione delle colture viene inserita fra le tre buone pratiche previste dalla componente “greening” della Politica agricola comune (Pac) 2014-2020, prolungata a fine 2022.

Foto: Getty
Regole e deroghe
Si arriva quindi alla nuova Pac 2023-2027, che introduce l’obbligo della rotazione colturale nella cosiddetta “condizionalità rafforzata”, cioè quell’insieme di regole e condizioni che gli imprenditori agricoli devono seguire per accedere ai contributi europei. «Proprio la Pac, che prevede delle Buone condizioni agronomiche e ambientali (Bcaa), in particolare con la regola numero 7, introduce l’obbligo della rotazione biennale delle colture nei seminativi a partire dal 2024, nonostante alcune deroghe che riguardano ad esempio le aziende biologiche al di sotto dei 10 ettari e quante praticano le coltura sommerse, come il riso» spiega ancora Zari.
Schemi sostenibili
Accanto a quest’obbligo ci sono poi gli Eco-schemi, cioè i regimi a favore dell’ambiente che ogni partner comunitario può adottare sulla base delle proprie esigenze. L’Italia ne ha scelti cinque e l’Eco-schema numero 4 in particolare – applicabile a partire dal 2023 su base volontaria – prevede proprio una rotazione almeno biennale e regole più stringenti rispetto alla numero 7 della Bcaa. Quest’ultima richiede infatti solo il cambio di genere: per esempio, non si può coltivare lo stesso campo a grano duro un anno e a grano tenero l’anno successivo, perché entrambe le specie appartengono alla stessa coltura. L’Eco-schema adottato dal nostro paese impone invece anche un avvicendamento tra colture “depauperanti” (principalmente i cereali autunno-vernini) e quelle “miglioratrici” come le leguminose, le foraggere e le colture da rinnovo (mais, girasole, barbabietola, pomodoro, patata, ecc.).

Radici di leguminose (Foto: Canva)
«Le colture da rinnovo hanno un’azione migliorativa sulla fertilità e sulla composizione, perché il loro apparato radicale è molto strutturante e consente gli scambi gassosi, di acqua e minerali. E con i residui vegetali aumentano la sostanza organica» aggiunge l’agronomo.
Utile al clima…
La rotazione colturale gioca un ruolo importante anche nel quadro della lotta al cambiamento climatico. Non a caso uno dei 10 obiettivi strategici della Pac 2023-2027 e della condizionalità rafforzata è proprio quello di «contribuire alla mitigazione del cambiamento climatico e all’adattamento», attraverso la riduzione delle emissioni di gas-serra e potenziando il sequestro di carbonio del settore agricolo e forestale.
L’avvicendamento consente infatti un maggior accumulo nel terreno di anidride carbonica attraverso il suo assorbimento dall’atmosfera: si va da colture con cicli brevi e una bassa capacità di assorbimento ad altre con cicli più lunghi e un’azione di fotosintesi più forte.
…e all’economia
Oltre ai vantaggi ambientali, questo complesso di regole punta infine a migliorare la sostenibilità economica del settore: le rotazioni consentono infatti una produzione agricola e un flusso di reddito diversificati, migliorando il tempo di utilizzo del suolo. Un bene fondamentale: «Teniamo presente che per costituire un centimetro di suolo occorrono come minimo circa cento anni… Si tratta quindi di un bene estremamente prezioso per noi» sottolinea Rosanna Zari. E non solo perché il nostro cibo viene da lì:
«A prescindere da quella che sarà l’alimentazione del futuro, la conservazione di un suolo sano è cruciale per i paesaggi, per i profumi e per i sapori che la terra ci regala».