Chi si ricorda di giuggiole e corbezzoli? Alla ricerca dei frutti dimenticati con Stefania Nin Foto: Crea
Biodiversità

Chi si ricorda di giuggiole e corbezzoli? Alla ricerca dei frutti dimenticati con Stefania Nin

La ricercatrice del Crea ci spiega come e perché alcune varietà dai nomi “antichi” siano scomparse quasi del tutto. E cosa si potrebbe fare per recuperarle, fra studi agronomici e un sano marketing

Valentina Gentile 11 Novembre 2024

Giuggiole, corbezzoli, sorbole. Forse ne abbiamo sentito parlare, ma quante e quanti di noi li hanno mai davvero visti o mangiati? Questi frutti, un tempo comuni, fanno oggi parte della lista di frutti scomparsi dalle nostre abitudini quotidiane. Eppure, per le loro caratteristiche e la loro storia, meriterebbero una sorte molto diversa.

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Dietro la loro sparizione si celano dinamiche legate al marketing e alla (ancora) poca ricerca. Secondo Stefania Nin, ricercatrice del Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria (Crea), la ricerca e il marketing si sono concentrati sulle specie più rilevanti economicamente, trascurando varietà con minore potenziale produttivo: «Le colture più diffuse sono state selezionate nel corso di secoli o millenni, mentre quelle neglette sono ancora più vicine alle forme selvatiche, con conseguente lenta fruttificazione e scarsa produttività», spiega.

 

Alla ricerca dei frutti dimenticati, immagine simbolica

Foto: Dave LZa/Pixabay

E allora abbiamo provato a capire, insieme a lei, come le varietà che oggi sembrano scomparse potrebbero tornare in auge.

Dottoressa Nin, come mai sorbole, mirabolano, giuggiole, corbezzolo, biricoccolo, pompia o corniolo sono scomparsi dal mercato e ormai sconosciuti ai più? E perché altri frutti, come la mela cotogna, hanno resistito, pur rimanendo di nicchia?

Le specie meno conosciute soffrono di una mancanza di marketing e conoscenza dei mercati e del consumatore. Non sappiamo come promuoverle e mancano canali per trasmettere il loro valore. Senza pubblicità, la gente non le compra. La ricerca, ovviamente, si è concentrata sulle specie più rilevanti economicamente. Ogni specie ha caratteristiche che ne hanno ostacolato la diffusione, come frutti troppo piccoli, bassa produttività o la necessità di essere consumati dopo un lungo periodo di maturazione post-raccolta, come nel caso del nespolo della Germania. Chi, oggi, sarebbe disposto a conservare frutti in casa in attesa che diventino morbidi?

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Queste specie sono state meno “addomesticate” rispetto ad altre. Le colture più diffuse sono state selezionate nel corso di secoli o millenni, mentre quelle neglette sono ancora più vicine alle forme selvatiche, con conseguente lenta fruttificazione e scarsa produttività. Ogni specie ha ovviamente le sue peculiarità, ma queste caratteristiche non le hanno rese adeguate alle esigenze moderne impedendogli di trovare spazio nei grandi mercati di consumo.

Alla ricerca dei frutti dimenticati, decorazione grafica

Foto: Getty images

Quindi è tutta, o quasi tutta, una questione di marketing?

Esempi come il kiwi o il mirtillo gigante dimostrano l’importanza del marketing. Il kiwi era praticamente sconosciuto fino a quando la Nuova Zelanda non ha investito massicciamente in pubblicità circa 60 anni fa. Ma la cosa interessante è che, quando è arrivato sul mercato italiano, senza averlo mai visto prima, già sapevamo come mangiarlo, come tagliarlo. E perché avremmo dovuto mangiarlo? Il marketing ci ha fornito queste risposte. Allo stesso modo, il mirtillo gigante era un frutto poco studiato, ma oggi è uno dei prodotti più globalizzati, conosciuto in tutto il mondo per le sue proprietà salutistiche e coltivato ovunque e disponibile tutto l’anno, grazie a investimenti e selezione di nuove cultivar.

Alla ricerca dei frutti dimenticati, decorazione grafica

Foto: Dompress/Getty Images

Secondo lei quali sono i frutti che oggi sono ingiustamente poco noti e che andrebbero invece recuperati? E perché questo non avviene?

Il problema principale per molte specie trascurate è la mancanza di adattamento, di studi e di promozione. Anche l’apprezzamento del consumatore gioca un ruolo fondamentale. Prendiamo come esempio la giuggiola: perché dovremmo mangiarla? Nessuno ne conosce i benefici o come usarla, perché nessuno ne parla o la pubblicizza nel modo giusto. Se mostrassimo una giuggiola a un ragazzo oggi, non saprebbe nemmeno cosa sia. Alcune specie si affermano per diversi motivi: maggiore produttività, minori costi o perché sono adottate da grandi produttori. Potrebbero trovare un mercato di nicchia, ma richiedono investimenti significativi.

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Prendiamo il caso del fico: in passato ne producevamo 250.000 tonnellate, ma oggi ne produciamo appena 25.000. Questo perché oggi non abbiamo più bisogno di frutti così energetici, dato che la nostra dieta è più varia, e il fico è difficile da raccogliere e conservare. Un fico raccolto prima della piena maturazione è sgradevole, mentre uno raccolto maturo si spappola facilmente.

Alla ricerca dei frutti dimenticati, decorazione grafica

Foto: Parchi Lazio

Ci sono frutti considerati comuni che rischiano di scomparire? E ci sono frutti definitivamente scomparsi?

Anche il consumo di mele sta diminuendo in Europa, poiché i giovani cercano cibi più stimolanti ed esteticamente appaganti. È più facile comprendere perché alcune specie si sono affermate: sono produttive e redditizie. Ma niente è irreversibile, tutte le specie si possono recuperare e valorizzare. Nell’evoluzione uomo-natura tutto passa, si lascia e poi si riprende ancora una volta. Pensiamo, ad esempio, a un nuovo prodotto ricco di antiossidanti unici che, con la giusta promozione, potrebbe diventare il “frutto miracoloso” di domani.

Alla ricerca dei frutti dimenticati, decorazione grafica

Foto: Getty Images

Cosa si fa per recuperare i frutti scomparsi? Ci sono dei tentativi in questo senso?

Purtroppo, la ricerca su queste specie è sottovalutata e sottofinanziata. Se ci fossero maggiori investimenti e imprenditori disposti a rischiare, forse potremmo vedere il successo di queste specie meno conosciute. Guardiamo alla Spagna, che ha saputo valorizzare il kaki e oggi è il maggior produttore europeo, con una produzione di 400.000 tonnellate. In Italia, invece, la produzione si è ridotta notevolmente. Questo non è stato un miracolo del kaki in Spagna, ma il risultato di investimenti in tecnologia e marketing. Lo stesso vale per il melograno, che in Italia non ha trovato il giusto sostegno.

Servono imprenditori disposti a crederci e a promuovere questi prodotti.

Alla ricerca dei frutti dimenticati, decorazione grafica

Foto: Agricoltura Emilia Romagna

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