Giuggiole, corbezzoli, sorbole. Forse ne abbiamo sentito parlare, ma quante e quanti di noi li hanno mai davvero visti o mangiati? Questi frutti, un tempo comuni, fanno oggi parte della lista di frutti scomparsi dalle nostre abitudini quotidiane. Eppure, per le loro caratteristiche e la loro storia, meriterebbero una sorte molto diversa.
Dietro la loro sparizione si celano dinamiche legate al marketing e alla (ancora) poca ricerca. Secondo Stefania Nin, ricercatrice del Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria (Crea), la ricerca e il marketing si sono concentrati sulle specie più rilevanti economicamente, trascurando varietà con minore potenziale produttivo: «Le colture più diffuse sono state selezionate nel corso di secoli o millenni, mentre quelle neglette sono ancora più vicine alle forme selvatiche, con conseguente lenta fruttificazione e scarsa produttività», spiega.

Foto: Dave LZa/Pixabay
E allora abbiamo provato a capire, insieme a lei, come le varietà che oggi sembrano scomparse potrebbero tornare in auge.
Dottoressa Nin, come mai sorbole, mirabolano, giuggiole, corbezzolo, biricoccolo, pompia o corniolo sono scomparsi dal mercato e ormai sconosciuti ai più? E perché altri frutti, come la mela cotogna, hanno resistito, pur rimanendo di nicchia?
Le specie meno conosciute soffrono di una mancanza di marketing e conoscenza dei mercati e del consumatore. Non sappiamo come promuoverle e mancano canali per trasmettere il loro valore. Senza pubblicità, la gente non le compra. La ricerca, ovviamente, si è concentrata sulle specie più rilevanti economicamente. Ogni specie ha caratteristiche che ne hanno ostacolato la diffusione, come frutti troppo piccoli, bassa produttività o la necessità di essere consumati dopo un lungo periodo di maturazione post-raccolta, come nel caso del nespolo della Germania. Chi, oggi, sarebbe disposto a conservare frutti in casa in attesa che diventino morbidi?
Queste specie sono state meno “addomesticate” rispetto ad altre. Le colture più diffuse sono state selezionate nel corso di secoli o millenni, mentre quelle neglette sono ancora più vicine alle forme selvatiche, con conseguente lenta fruttificazione e scarsa produttività. Ogni specie ha ovviamente le sue peculiarità, ma queste caratteristiche non le hanno rese adeguate alle esigenze moderne impedendogli di trovare spazio nei grandi mercati di consumo.
Quindi è tutta, o quasi tutta, una questione di marketing?
Esempi come il kiwi o il mirtillo gigante dimostrano l’importanza del marketing. Il kiwi era praticamente sconosciuto fino a quando la Nuova Zelanda non ha investito massicciamente in pubblicità circa 60 anni fa. Ma la cosa interessante è che, quando è arrivato sul mercato italiano, senza averlo mai visto prima, già sapevamo come mangiarlo, come tagliarlo. E perché avremmo dovuto mangiarlo? Il marketing ci ha fornito queste risposte. Allo stesso modo, il mirtillo gigante era un frutto poco studiato, ma oggi è uno dei prodotti più globalizzati, conosciuto in tutto il mondo per le sue proprietà salutistiche e coltivato ovunque e disponibile tutto l’anno, grazie a investimenti e selezione di nuove cultivar.
Secondo lei quali sono i frutti che oggi sono ingiustamente poco noti e che andrebbero invece recuperati? E perché questo non avviene?
Il problema principale per molte specie trascurate è la mancanza di adattamento, di studi e di promozione. Anche l’apprezzamento del consumatore gioca un ruolo fondamentale. Prendiamo come esempio la giuggiola: perché dovremmo mangiarla? Nessuno ne conosce i benefici o come usarla, perché nessuno ne parla o la pubblicizza nel modo giusto. Se mostrassimo una giuggiola a un ragazzo oggi, non saprebbe nemmeno cosa sia. Alcune specie si affermano per diversi motivi: maggiore produttività, minori costi o perché sono adottate da grandi produttori. Potrebbero trovare un mercato di nicchia, ma richiedono investimenti significativi.
Prendiamo il caso del fico: in passato ne producevamo 250.000 tonnellate, ma oggi ne produciamo appena 25.000. Questo perché oggi non abbiamo più bisogno di frutti così energetici, dato che la nostra dieta è più varia, e il fico è difficile da raccogliere e conservare. Un fico raccolto prima della piena maturazione è sgradevole, mentre uno raccolto maturo si spappola facilmente.
Ci sono frutti considerati comuni che rischiano di scomparire? E ci sono frutti definitivamente scomparsi?
Anche il consumo di mele sta diminuendo in Europa, poiché i giovani cercano cibi più stimolanti ed esteticamente appaganti. È più facile comprendere perché alcune specie si sono affermate: sono produttive e redditizie. Ma niente è irreversibile, tutte le specie si possono recuperare e valorizzare. Nell’evoluzione uomo-natura tutto passa, si lascia e poi si riprende ancora una volta. Pensiamo, ad esempio, a un nuovo prodotto ricco di antiossidanti unici che, con la giusta promozione, potrebbe diventare il “frutto miracoloso” di domani.
Cosa si fa per recuperare i frutti scomparsi? Ci sono dei tentativi in questo senso?
Purtroppo, la ricerca su queste specie è sottovalutata e sottofinanziata. Se ci fossero maggiori investimenti e imprenditori disposti a rischiare, forse potremmo vedere il successo di queste specie meno conosciute. Guardiamo alla Spagna, che ha saputo valorizzare il kaki e oggi è il maggior produttore europeo, con una produzione di 400.000 tonnellate. In Italia, invece, la produzione si è ridotta notevolmente. Questo non è stato un miracolo del kaki in Spagna, ma il risultato di investimenti in tecnologia e marketing. Lo stesso vale per il melograno, che in Italia non ha trovato il giusto sostegno.
Servono imprenditori disposti a crederci e a promuovere questi prodotti.